il Narratore
i Libri
short Stories
brevi Saggi
Note
i Media
Home brevi Saggi
La conversazione narrata

Vorrei provare a porre la questione del riconoscimento da parte dell’Unesco della “conversazione” come patrimonio culturale immateriale dell’umanità e credo che un primo passo sia quello di indicare le dieci principali caratteristiche presenti nella forma delle nostre conversazioni . Senza prendere in considerazione le tematiche, che sono vaste quanto la vita delle persone e dei popoli, e che, data la ricchezza e la caoticità delle relazioni umane - parentali, amicali, professionali e perfino occasionali - tendono a svilupparsi con una varietà di interessi e di spunti tali da coprire un arco temporale che va da Socrate ai tempi moderni.

Proprio per esplorare questa vastità di tematiche nell’Università di Cambridge esisteva un’associazione ristretta denominata Cambridge Conversazione Society (il termine italiano nel nome alludeva probabilmente alla presenza culturale italiana agli inizi del Novecento) che ha annoverato tra i suoi “Apostoli” John Maynard Keynes e Bertrand Russell.

Le seguenti dieci caratteristiche testimoniano la necessità di preservare e sviluppare per il futuro una forma di rapporti tra le persone che rischia un evitabile declino.

Cominciamo con il linguaggio. Una lingua scadente, povera, determina inevitabilmente una conversazione di limitato interesse, invece una tavolozza linguistica ricca  affascina già con le prime pennellate verbali. Certo tutto dipende da chi manovra i pennelli… può anche accadere che con pochi colori a disposizione un artista dal talento innato, come un narratore orale, conquisti l’attenzione e conduca il gioco con proprietà di linguaggio.

Una proprietà assai instabile con il passare degli anni, perché niente cambia come il linguaggio, e naturalmente la sua mutevolezza incide anche sulla forma della conversazione. Ma la cura della parola resta un esercizio salutare, fa star bene non solo con gli altri, ma anche con se stessi, come fa star male, perfino nell'aspetto, l'essere misologi e non aver fiducia nel valore delle argomentazioni e dei ragionamenti altrui.

Alla base della conversazione, poi, ci sono i  volti. Contrariamente a quello che si crede la conversazione è un’arte audio-visiva dove le espressioni dei volti contano moltissimo, ad esempio l’ironia di un’intera frase è spesso condensata in uno sguardo, che con una luce diversa riesce a far cambiare radicalmente significato alle  parole. 

Ci sarà anche una biochimica della conversazione i cui confini sono ignoti, ma che riguarda i neuroni specchio: cioè il modo in cui il nostro cervello si mette nei panni dell’altro, che non a caso è un modo di dire molto frequente nelle conversazioni “io, nei tuoi panni…”.

Il piacere di conversare si legge sui volti, così come sul volto del narratore di turno si riflette l’interesse suscitato da chi ascolta.

La conversazione, come le passeggiate solitarie o in buona compagnia, dilatano il tempo. Non nel senso che sono destinate a durare molto (anche se può avvenire frequentemente) ma nel senso che spesso non ci rendiamo conto di quanto tempo è passato da quando abbiamo iniziato a conversare. 

Il tempo è una variabile dipendente di tutta la nostra vita, nessun nostro gesto, nessuna attività umana può considerarsi prescindendo dal fattore temporale e, quindi, è anche una caratteristica anomala della conversazione e viene considerata soltanto per la sua giusta durata. Quando la conversazione è costretta entro angusti limiti di tempo, cambia immediatamente natura e diventa mera comunicazione.

Una caratteristica peculiare della conversazione è la sua caducità. Nessun’altra forma del pensiero umano è così velocemente destinata  a scomparire; più leggera dell’aria, rimane solo nella memoria dei partecipanti, nella memoria tramandata. Qualunque sia stato l’argomento di una indimenticabile serata, la sua nuvola può essere rimasta anche a lungo nel nostro cielo, ma poi è destinata a  svanire.

Svaniscono i volti di quelli che hanno formulato quei profondi pensieri, svaniscono le loro indimenticabili parole, si perde perfino il ricordo di quella conversazione che ha segnato un cambiamento significativo nella nostra vita. Quasi a sottolineare il fatto che la conversazione condivide con l’uomo una stessa sorte.

La conversazione, già con l’adolescenza, ha contribuito a modulare un nostro tratto importante: la voce. Trovare la nostra voce è una delle imprese a cui siamo chiamati nella vita… quel timbro che connota così unicamente i pensieri, le storie, noi stessi. Certo anche l’aspetto è una caratteristica unica, ma, senza quel timbro, l'espressione del volto sarebbe insufficiente.

Le conversazioni ascoltate e partecipate, con minore o maggiore intensità, ci hanno fatto trovare quel piccolo tesoro che è la nostra voce. Pensate alle persone che amate,  agli attori e alle attrici che ammirate, agli scrittori che preferite (la loro voce è nelle parole scritte) e vedrete che la voce è una delle caratteristiche che più ci attrae, che più ci distingue.

“Tutto quello che ho è una voce” ha scritto W.H. Auden in 1° Settembre 1939 nel momento più drammatico per l’umanità.

Ancora prima della scrittura, la conversazione, così caduca e mutante, ci ha permesso di articolare i nostri disordinati pensieri, di scoprire l’ironia e di riconoscere il dolore e la gioia attraverso le voci dei tanti conversatori.

La conversazione non è esclusiva, la sovrasta un principio di inclusione: punta a comporre diversità di opinioni, di temi, di persone. Se non ci fosse diversità, se vigesse il principio di esclusione non ci sarebbe neanche l’abbozzo di una conversazione.

Essa si nutre, per poter crescere e arricchirsi, della varietà dei modi di essere e di pensare; nel dopoguerra nelle famiglie italiane esplose la conversazione perché si veniva da un ventennio monotono, con un pensiero dominante che aveva relegato le relazioni umane alle adunate e ai comizi. Dove contava soltanto l’adesione emotiva. 

La conversazione non è ordinata, poiché è inclusiva può essere caotica, e lascia fuori della porta qualsiasi pensiero dominante, se non per irriderlo aspramente. Il suo compito è eliminare barriere, non costruirle!

Perché così la conversazione riesce a diventare un racconto polifonico, ad assumere una struttura narrativa che regge dall'inizio alla fine, senza sfrangiarsi e perdere di coesione. 

La conversazione ammette anzi pretende qualche divagazione. Se operata nei tempi e nei modi appropriati, la divagazione rinvigorisce la conversazione stessa, è un sottotema inserito improvvisamente nella conversazione che, altrimenti, vivrebbe pericolosi momenti di stallo. Le divagazioni consistono spesso in brevi racconti , per lo più allegorici, oppure in noiosi esempi o, ancora, in tranches de vie quasi sempre autobiografici.

Per esempio in una conversazione sulla scuola accade inevitabilmente che si raccontino i tratti salienti, spesso scarsamente significativi, della propria esperienza scolastica. Esperienze che infarciscono numerose conversazioni.

Tempi e modi giusti, ho detto. Tempi: la divagazione va inserita nel momento in cui se ne avverte la necessità e per la giusta durata. Modi: deve costituire un sottotema che, al termine, consenta il rientro nell'alveo principale.

C'è da dire comunque che la divagazione qualche volta non è soltanto sul tema principale, come un arricchimento, ma anche dal tema, come un controcanto. Queste ultime sono le più difficili, per questo la conversazione può raggiungere vette artistiche, anche se misconosciute: l’arte della conversazione appunto.

La conversazione ammette, anche se saggiamente contenuta, una sorta di prevalenza dell’affabulazione, a carico di un maestro concertatore attento a non ridurre mai la partecipazione degli altri ad una semplice audizione.

La capacità di raccontare una storia, di articolare una trama è un talento innato, un’eredità genetica oppure si affina con lo studio e con la pratica? La nota risposta è che l’uomo è un impasto di natura e cultura, proprio come un affabulatore, presenza preziosa nelle conversazioni. E’ la persona che riesce a trasformare un normale incontro tra conoscenti in una conversazione - spettacolo, spesso con la pirotecnia di un ricordo, in parte inventato, adattato in modo da coinvolgere tutti o quasi gli astanti.

Le conversazioni si svolgono soltanto tra persone che si conoscono, con cui c’è addirittura un certo grado di affinità politica o religiosa o di altra natura? Certamente no, perché una delle caratteristiche delle conversazioni è, appunto, l’estraneità, una condizione in cui incontri occasionali, in treno o in aereo, si trasformano in un intenso scambio tra esseri umani. E’ come se tra estranei, che probabilmente non si rivedranno mai più, si accendesse una tranquilla fiamma destinata a illuminare eventi della vita che si è sempre preferito lasciare al buio.

Certo quest’anomala conversazione è propiziata dallo spazio e dal tempo limitato, la durata di un viaggio, da una concentrazione di pensieri e parole in qualche modo obbligata. Per quanto riguarda i viaggi in treno la prova di quanto detto è purtroppo fornita dal progressivo venir meno dello scompartimento. Con i suoi sei posti, uno di fronte all’altro, lo scompartimento propiziava l’intreccio degli sguardi e il germogliare delle osservazioni, la sua definitiva sostituzione ha decretato come conseguenza inevitabile la fine della conversazione e della lettura. I treni ad alta velocità hanno poltrone molto più comode, in cui ognuno siede isolato come in un guscio senza guardare nient’altro che lo smartphone.

Una delle caratteristiche del conversare consiste nell’adottare, più o meno consapevolmente, il modello dell’iceberg.

Nelle conversazioni noi tutti siamo abituati a far emergere soltanto una parte del nostro modo di essere, dei nostri pensieri, perfino dei nostri ricordi, tenendo occultato sotto il livello dell’acqua il resto. Perché è su quella parte visibile dell’iceberg che noi ci vogliamo confrontare, è quello il blocco che noi vogliamo condividere. Il resto è per noi, o per un altro contesto, il resto è sott’acqua, appunto!

Certo che, se dall’acqua spunta soltanto una cupoletta di ghiaccio, l’interesse per   l’avvistamento scema presto. Come pure se davanti a noi si para una montagna di ghiaccio siamo sopraffatti, frastornati, portati alla distrazione; è importante, invece, che la linea di galleggiamento della conversazione sia mantenuta nelle condizioni più adatte alla navigazione di quella serata, di quella giornata.


Con queste caratteristiche o solo con alcune di esse o con altre ancora le conversazioni continuano a viaggiare in quegli incerti confini che separano l’arguzia dalla banalità. In genere, per fortuna, mettere più teste a confronto non necessariamente determina la prevalenza del cretino, ma più spesso tende ad esercitare una benefica influenza sui pensieri e sulle espressioni di ciascuno dei partecipanti, quasi una palestra di democrazia. 

La nostra condizione di esseri viventi è strettamente collegata alla presenza di altri esseri, con i quali è necessario stabilire punti di equilibrio nei rapporti. E tra gli esseri viventi dotati di parola la conversazione, realizzando un principio di inclusione delle diversità di temi e di persone, è spesso la forma più intima per far conoscere le nostre storie, la nostra Storia. Per questo “la conversazione” va conservata e sviluppata nelle relazioni umane anche con un giusto e universale riconoscimento.

Save the conversazione please !

Copyright © 2005-2024 Giuseppe Fiori
Contatti Credits