Detto cosi alla buona, tutti i viventi sentono la necessitá di raccontarsi le storie che, anche indirettamente, li riguardano e di riportare, cambiandole, le storie che hanno sentito raccontare, in un infinito narrativo che ha in Sherazade la sua figura simbolica.
Perché una figura simbolica femminile, quando la maggior parte dei narratori è dell'altro sesso? Sempre per dirla alla buona, in questi meandri siamo guidati solo dall'istinto... e poi perché nutrici e streghe, nonne e mamme, fate e spose ci hanno melodicamente raccontato le storie di quell'infinito narrativo, anche attraverso i loro silenzi e hanno saputo infondere la vita nelle loro storie.
C'è dunque una matrice femminile del racconto, che si rende visibile ponendo quasi sempre una donna, forte e determinata come Sherazade, all'origine del potere incantatore di ogni storia e dell'accompagnamento operato di storia in storia.
E, come Sherazade, attraverso la forza e la necessitá della narrazione, opponiamo alla morte il gioco della trama infinita che intreccia le storie vere e le storie inventate, senza permettere che il realismo delle nostre azioni prevalga sui canoni arcaici de fantastico.
Una bella partita a scacchi quella tra il narratore e la morte! Perché con Walter Benjamin ormai sappiamo che il narratore è l'uomo che potrebbe lasciar consumare fino in fondo il lucignolo della propria vita alla fiamma misurata del suo racconto.
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