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Il Pesce d'Oro
Le vacanze estive erano sempre troppo lunghe o troppo brevi e l'eccitazione si alternava spesso alla noia. Comunque non le passavo mai in veri e propri luoghi di villeggiatura: i nonni materni, Gino e Ghitarella, in quel periodo vivevano a Teramo, una città equidistante tra il Gran Sasso, e l'Adriatico.

Così abitando in una piccola ma strategica città di provincia riuscivamo a fare brevi incursioni per un tuffo al mare o una gita in montagna.

Quei flash di vacanza erano appaganti, ma anche Teramo mi piaceva con il suo Corso, il Parco, la Circonvallazione con il Manicomio e la scritta Questi soltanto i pochi forse neppure i veri e il Cine Teatro Comunale.

Era bello vedere un film seduto sulla poltroncina di velluto rosso stinto in un palco vuoto, uno spazio tutto tuo per le emozioni. La realtà all'uscita non sembrava altrettanto emozionante, salvo quando di notte arrivava il terremoto e si scendeva a dormire per strada.

Già alle medie quel piccolo mondo mi stava stretto, ma a otto anni pareva disegnato apposta per me, come gli albi di Topolino di quell'epoca, i cui personaggi principali erano tutti zii di fantastici nipoti. Anch'io ero un nipote, di mio zio Tato che correva più veloce di tutti con un'Alfa rossa sul circuito del Castello, mentre io per imitarlo andavo di nascosto all'autoscontro, dietro il Parco, in mezzo alle giostre che giravano instancabilmente in tondo il sabato e la domenica.

In un unico abbraccio riuscivo a cogliere tutto il vero e il finto. Fusi insieme.


Ma un lago non l'avevo ancora visto, immaginavo come potesse essere, un piccolissimo mare tra i monti e tanti alberi intorno, ma non ne avevo visto nemmeno uno.

Ghitarella, il nome completo di mia nonna era Margherita, decise che dovevamo andarci e rimanere una intera settimana. Tra di noi l'affetto era grandissimo e io mi sentivo libero insieme a quella donna minuta che leggeva di continuo i romanzi, con la copertina verde, della Medusa; leggeva con lo stesso trasporto che io provavo dentro il palco alla vista di un western.

Finalmente una vacanza lunga una settimana, in cui servivano sia gli scarponi che il costume da bagno e tanti giornaletti, naturalmente!

In realtà al lago di Scanno sarebbe anche servita una canna da pesca, ma questo non rappresentava certo un problema. Un pomeriggio tagliai una canna con il mio temperino dal manico di legno e ci legai una lenza.

Arrivato al lago feci un bel lancio senza troppe aspettative, e il turacciolo che galleggiava in acqua disegnò subito un primo cerchio, perfetto, sull'acqua trasparente appena increspata, poi lentamente ne seguì uno più grande e un altro ancora.

Rimasi immobile a guardare il sughero che oscillando sfiorava quella superficie; forse pescare era tutto lì, in quell'immobilità di vetro che rispecchiava uno stato d'animo, un'attesa. Improvvisamente mi sentii fiducioso e la mia immaginazione cominciò a creare altri cerchi, sempre più distanti e sempre meno perfetti...

Il lago stesso era un grande cerchio con la cornice verdescuro degli alberi, immerso in un silenzio abitato soltanto da scoiattoli, gufi e da qualche altro invisibile animale del bosco. Il ticchettare di un picchio, in lontananza, increspò l'aria lungo tutto il lago... fino a dove mi trovavo con l'improvvisata canna da pesca, in attesa.

Una pioggia sottile, di minuscole gocce sospese nell'aria, stava facendo le prove per improvvisare un arcobaleno dall'altra parte del lago.

C'era molto più in quel bosco e in quel lago di quanto potessi scorgere, mentre ero lì a pescare, con occhi ed orecchie sensibili come antenne.

La canna vibrò appena, un movimento impercettibile... Ecco, io non l'avevo ancora visto, ma il pesce d'oro era proprio sotto il sughero.

Stava girando in cerchio intorno al mio piccolo amo, pronto a tirarmi giù, nelle acque profonde e colorate del lago di Scanno.

Era lui che aspettavo quell'estate.

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