il Narratore
i Libri
short Stories
brevi Saggi
Note
i Media
Home brevi Saggi
Il popolo di un libro l'anno
L’ Italia che non legge, al di là delle ormai tristi e note statistiche, la incontriamo sul treno. In prima e seconda classe, in maniera uniforme, si può scorgere soltanto qualche quotidiano, per lo più sportivo, e un tripudio di cellulari, pc, i pad, i pod, non tutti attivi. I libri, di qualsiasi genere, sono decisamente in via di estinzione ferroviaria. È come se la fine dello scompartimento, con i suoi sei posti uno di fronte all’altro avesse decretato come conseguenza inevitabile la fine della conversazione e della lettura. Comincio da qui, perché la favoletta che leggerete alla fine di questa presentazione l’ho scritta in treno – come tante altre mie storie – in un periodo della vita in cui facevo tutte le settimane Roma-Bari e ritorno per lavorare con le scuole pugliesi.

Ogni tanto in quegli euro-vagoni si incontrava una lettrice con il suo romanzo e subito la memoria ritornava al personaggio di Calvino in Se una notte d’inverno un viaggiatore: nella sua figura immobile si poteva cogliere “i segni di quel movimento invisibile che è la lettura, lo scorrere dello sguardo e del respiro, ma più ancora il percorso delle parole attraverso la persona, il loro fluire o arrestarsi, gli slanci, gli indugi, le pause, l’attenzione che si concentra o si disperde, i ritorni indietro, quel percorso che sembra uniforme e invece è sempre mutevole e accidentato”.

Una magra consolazione nel desolante panorama offerto dalle statistiche e dalla realtà itinerante. Eppure le stesse statistiche (pubblicate anche in questo numero del “Pepeverde”) parlavano e parlano ancora di una tenuta della lettura nella fascia d’età dall’infanzia alla prima adolescenza, certo anche per merito della scuola... Poi dai 14 e 15 anni in avanti c’è un veloce allontanamento dei ragazzi dal pianeta libri, come se indossassero la tuta da astronauti per un viaggio spaziale senza ritorno.

Certo queste osservazioni e, ancor di più, le analisi e le ricerche approfondite che sono state fatte sul popolo di un libro all’anno spingono chi lavora nella scuola e per la scuola verso inquietanti domande, quali: l’istruzione continua ad essere una priorità? E la cultura lo è ancora oggi?

Oppure una progressiva, minore attenzione politica, finanziaria e perfino sociale al mondo della scuola e della cultura hanno fatto scendere di livello questi temi di tanta rilevanza per la vita e per il futuro del Paese. C’è stato un momento, dopo la fiammata di politiche educative della fine degli anni novanta, in cui abbiamo smesso di credere che la scuola fosse il contesto principale in cui i giovani potevano costruire la loro identità e porre le basi per l’inserimento nella società e, nello stesso tempo, che rappresentasse un ambiente idoneo alla trasmissione del patrimonio culturale italiano. Un patrimonio che rinnovandosi costituisce l’asse della nostra vita sociale e della nostra esperienza democratica.

Uno dei tanti indicatori di questo declassamento è non solo la diminuzione di investimenti nel settore, ma il confronto con gli altri Paesi dell’Ocse: la spesa per Scuola e Università in Italia è del 4,8 % del Pil contro la media Ocse del 6,1 %.

Con uno sguardo al passato si può ricordare come i precetti costituzionali in tema d’istruzione e di crescita della società italiana abbiano per lungo tempo connotato tutto l’intervento educativo dei decenni dell’infanzia e dell’adolescenza della Repubblica italiana. Poi, curiosamente, è avvenuto per l’intera collettività ciò che è stato osservato per il singolo cittadino: il bambino e il ragazzo che leggeva e studiava diventa l’adulto che crede sempre meno nell’importanza di quei gesti, fino a ritenerli del tutto marginali. Eppure oggi nessuno disconosce la priorità della formazione! Nelle società industrializzate la formazione è una leva centrale in tema di produzione, lavoro e occupazione. E sempre più il singolo, in qualunque attività sia impegnato, non può permettersi di destinare una percentuale tanto minima della propria vita – tra i dieci e i venti anni effettivi – al raggiungimento di mete educative, formative e culturali per poi ignorarle per tutto il resto dell’esistenza. Non è così che può funzionare!

Ma è esattamente quello che avviene nella solitudine di un libro all’anno. Ed è quello soprattutto lo spettro che si agita davanti ai nostri occhi se continuiamo a considerare la lettura, lo studio, la formazione come tratti episodici del corso della vita, da archiviare prima possibile. Lungi dall’essere considerati come una priorità della vita individuale e sociale.

La morale della favola a questo punto mi pare fin troppo evidente.

Buon viaggio, tra i libri.



L'ombra dei Grimm

C’erano una volta due compagni di scuola, i cui padri non si conoscevano affatto, ma avevano preso la stessa decisione... Il papà di Hänsel era povero e non voleva che il suo “ometto” continuasse a perdere tempo sui banchi, avrebbe dovuto, al più presto, cominciare a lavorare, perché così è la vita. Il papà di Gretel era invece ricco e non voleva che la sua bambina si distraesse con lo studio più dello stretto necessario, avrebbe dovuto piuttosto concentrarsi sugli interessi di famiglia, perché così è la vita.

Il padre di Hänsel, per stancare il figlio, la mattina gli faceva fare lunghi giri sul tram e lo abbandonava, con la scusa di un precario e improvviso impegno di lavoro, nel traffico cittadino, sperando che Hänsel non riuscisse a ritrovare la scuola. Il padre di Gretel, faceva lunghi giri con la sua Mercedes e poi, con la scusa di un sopraggiunto e importante impegno di lavoro, la lasciava per strada, certo che non avrebbe raggiunto la scuola.

Nell’intricato labirinto cittadino i due piccoli amici provavano un senso di sconforto, che si tramutava in paura con l’abbaiare del traffico. I due padri, anche se non si conoscevano affatto, cercavano, insomma, con tutti i mezzi, di farli diventare “Schulmüde”, cioè, come alcuni loro coetanei, studenti stanchi della scuola! Ma Hänsel aveva un portachiavi con una bussoletta e alla fine riusciva sempre ad orientarsi e a Gretel era bastato sorridergli la prima volta, vedendolo in mezzo alle macchine, per aggregarsi a lui nella difficile caccia alla scuola.

E così i due papà decisero, ognuno per proprio conto, di essere più severi e di andare a scuola per cancellare i loro figli dai registri. Mentre percorrevano il corridoio princi pale verso l’ufficio del Direttore, Hänsel e Gretel li convinsero a fermarsi davanti ad una porticina seminascosta.
– Chi c’è qui dietro? – chiesero spazientiti e infastiditi l’uno della presenza dell’altro. – Il maestro delle favole e dobbiamo dirgli addio!

Aperta la porticina Hänsel e Gretel spinsero dentro i due papà e la richiusero a chiave. Se ne stettero così dietro alla porta a sentire la voce narrante del Märchenerzähler mentre rosolava a fuoco lento i due nuovi studenti troppo cresciuti ...che protestavano, protestavano, ma sempre più debolmente.

Il racconto sembrava non finire mai e dalla porta filtrava il gradevole profumo delle favole, mentre sotto di essa si allungavano piccole ombre che giocavano tra di loro.
– Credi che ci vorrà molto? – chiese Hansel. – Forse – sorrise Gretel – però, secondo me, stanno già diventando più croccanti!

Copyright © 2005-2024 Giuseppe Fiori
Contatti Credits