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Il mattinale
Il piccolo gruppo di uomini percorreva il sentiero, costeggiato da una bordura di rose gialle, che risaliva dal laghetto delle carpe fino quasi al muro della Villa, in prossimità dell’uscita di Via della Nocetta.

I tre giovani e l’anziano camminavano lentamente, fermandosi a tratti; non erano ancora le sette quella domenica di primavera a Villa Doria Pamphili, per questo c’erano ancora pochi ciclisti e pochissime mamme.

Il commissario Martini ripiegò Il Messaggero e s’alzò dalla panchina: non era mai andato al parco a quell’ora, ma aveva passato una notte balorda nel suo Commissariato di polizia fluviale all’Isola Tiberina cercando di eliminare un po’ d’arretrato che gli si era accumulato sulla scrivania nelle ultime settimane. Rapporti all’autorità giudiziaria non inoltrati, circolari della Questura non lette, impulsi non dati a piccole indagini su furtarelli...d’altronde, si ripeteva, quello era il suo anno sabatico mentale ed era perfettamente normale che sulla scrivania si depositasse la zavorra del suo lavoro di investigatore tiberino. Alla fine ci si era addormentato sopra, con la testa appoggiata sull’avambraccio destro, come gli era accaduto qualche altra volta e lo aveva svegliato la donna delle pulizie facendo tintinnare contro il muro, con delicatezza, il secchio con gli stracci.

Una sveglia da ufficio, accompagnata da una voce roca che gli proponeva, un caffè, dottò?

No, lui il caffè macchiato tiepido, senza cornetto se lo prendeva al bar che stava aprendo, e poi un altro a casa col giornale dentro la vasca da bagno. Che si inzuppava tutto, il giornale, come un savoiardo.

Ma il caffè quella mattina gli fece un effetto obliquo: commissà, è ’na miscela nova...Lasciò la tazzina mezza piena e salutò il barista, tanto in giornata l’avrebbe rivisto e avrebbero commentato la novità.

All’uscita dal baretto cercò di capire come si stava disponendo la mattinata in vista di un secondo caffè che riequilibrasse l’effetto del primo. Il cielo era velato, come sempre a Roma tra le sei e le sette del mattino, ma l’aria era quella di primavera, fresca e tiepida con lo smog vagamente profumato di petrolio e oleandro. Era la mattinata giusta per andare a leggere il giornale al parco, come un pensionato senza cane, dopotutto la vasca da bagno poteva attendere.

La cronaca di Roma del Messaggero gli fece lo stesso effetto obliquo del caffè, ma era quel quartetto che lo incuriosiva, per questo s’alzò dalla panchina.

Avrebbe potuto traversare il prato che lo separava dal gruppo, raggiungerli e appizzare l’orecchio su quello che si stavano dicendo...se ci fosse stata più gente nel parco avrebbe potuto anche farlo senza essere troppo notato, ma in quelle condizioni era visibile come un cammello nel deserto.

Cercò allora di studiarli da lontano, perché se qualcosa o qualcuno lo incuriosiva Omar Martini non si voltava mai dall’altra parte.

L’anziano aveva un portamento eretto e un fisico asciutto, un ex militare forse con i capelli bianchi ben tagliati e i gesti decisi ed eleganti. Era lui che segnava il passo della passeggiata e della conversazione, i tre giovani gli stavano intorno con un atteggiamento misto di deferenza e protezione. Soprattutto la protezione dovevano essere abituati ad esercitare, tutti e tre con quelle spalle dritte, i capelli corti con la sfumatura alta e gli occhiali neri a specchio.

Il nido da dove erano usciti quei tre uccelletti neri doveva essere quello dell’estrema destra capitolina, ma c’era qualcosa che non quadrava: quelli non erano tipi da passeggiata la mattina in un parco, con un elegante, anziano signore, lungo una bordura di rose gialle.

Martini fece qualche passo nella loro direzione quando vide venire dal lago in calzoncini pisello chiaro e canottiera nera il proprietario del bar dell’Isola Tiberina.

Panzanera faceva er footing ognimatina, come diceva lui, o ar Gianicolo o a Doria Pamfilo, nonostante questa lodevole abitudine la panza non gli calava mai di un etto. Manco me sale co’ quello che me magno ognissera, si scherniva soddisfatto.

Il commissario lo guardò arrancare in salita verso il gruppetto e gli sembrò di sentire il fiatone e il passo spompato delle scarpe da tennis bianco-celesti.

I quattro non lo degnarono di uno sguardo e Panzanera, con uno scatto d’orgoglio rallentato, completò la salita, si fermò e li scrutò.

Poi guardò il prato in discesa e ciondolando la testa lo percorse al trotto.

- Puro lei, qui, stamatina, commissà.

- Avevo bisogno d’aria fresca dopo che ho bevuto la tua nuova miscela.

L’uomo sorrise e s’asciugò la fronte sudata col dorso peloso della mano - E’ più economica - si difese.

- Te credo, volevo vede che era pure più cara - poi Martini aggiunse - hanno incuriosito anche a te?

Panzanera guardò dall’altra parte del prato - Er tedesco co’ i mazzolatori, eh si, so’ strani forte.

- Il vecchio parlava in tedesco? - Gli chiese il commissario.

- No, in italiano, però era quell’italiano indurito, come nei film, me ce gioco ‘n caffè che è tedesco.

Martini si accorse che uno dei tre giovani ora guardava dalla loro parte - Il doberman più svelto ci sta a guardare riprendi a correre, dico per dire, e vedi se tra un po’ li puoi incrociare, io faccio un giro largo e da qualche parte me li troverò davanti.

Panzanera lo salutò e poi si voltò - A commissà voi fate er poliziotto come io faccio il barista: a risparmio.

Martini si diresse verso la panchina successiva, come un pensionato, e riaprì il giornale.

I quattro avevano ripreso a camminare e l’anziano tedesco a impartire la sua lezione...già in fondo poteva essere proprio questo, un professore che amava distribuire i suoi grani di saggezza a giovani e protettive menti, nell’armonia primaverile di un grande parco romano. La notte passata davanti alla scrivania di un commissariato e la lettura della cronaca nera dovevano averlo disposto male e avergli annerito anche le lenti della sua osservazione.

Rimaneva solo la curiosità, di che lezioni si trattava? Come aveva fatto quel professore ad omologare così i suoi tre studenti?

Già, perché non solo erano vestiti allo stesso modo, con gli stessi occhiali e con la stessa rasatura di capelli, ma si muovevano insieme, come un piccolo drappello di soldati.

Ecco che il riferimento militaresco tornava nella mente di Martini, interrotto dallo squillo del suo telefonino.

- Omar, è per oggi pomeriggio!

- Comandante, sei tu? Allora oggi si vola, finalmente!

- Stavolta ti ho dovuto far aspettare un bel po’, vero?

- Saranno almeno tre mesi! Considerato che tu e il tuo pallone siete sul libro paga del Commissariato - gli ricordò Martini - potresti farti vivo un po’ più spesso.

- E’ proprio questo il punto - precisò il comandante Dormeggio - con quello che paghi si e no ci rifacciamo le spese, e allora ti dovrai accontentare di un volo a stagione e questo è il tuo volo di primavera. D’altronde il Tevere te lo puoi anche risalire in motoscafo, anziché col dirigibile della Goodyear.

Era sempre così tra Martini e Dormeggio: si conoscevano da tempo, erano diventati quasi amici, ma si dovevano punzecchiare ogni volta che stavano per alzarsi in volo insieme. Forse, osservare dall’alto i mali di un fiume e di una città, - come aveva detto una volta Martini - era il segno della loro reciproca impotenza, ma era, anche, una sorta di necessità che sentivano di dover condividere.

D’altro canto si sentiva dire, ormai da tempo, che quella presenza nel cielo di Roma stava per scomparire: la Goodyear avrebbe sgonfiato il suo pallone e Martini sarebbe tornato a percorrere il Tevere con il motoscafo azzurro della P.S. in dotazione al suo ufficio.

Prima del bagno si sarebbe fatto un caffè, un vero caffè con la moka che usava da più di vent’anni, buttò sul tavolo il fascio di posta che aveva raccolto dalla cassetta vicino al portone e andò in cucina per far scorrere l’acqua.

Il commissario Martini abitava ai piedi del Gianicolo in un grande monolocale che avrebbe avuto bisogno dell’intervento di un architetto per trasformarlo in una gradevole abitazione trasteverina. La finestra più alta dava su Via Garibaldi, proprio nel punto dove s’incrociava con la salitina per Bosco Parrasio.

Un immenso stanzone pieno di luce, l’ideale per un pittore, ma la grande quantità di fascicoli, libri e giornali lo rendeva anche ideale per un piromane. Lanciò in un cestino di vimini reclame e bollette senza il privilegio dell'accredito in banca, aprì una busta gialla del suo commissariato. Non le incollavano mai.

- Giustoleo è stato premuroso questa mattina.

Spiegò il foglio, lo squadrò, ed era proprio il mattinale della Questura!

Quando anni prima era stato trasferito, anzi per meglio dire sbattuto, al commissariato di polizia fluviale dell’Isola Tiberina, Martini aveva trovato la maggior parte dei sottoposti che ancora adesso vi prestavano servizio. Non per tutti era stata, all’origine, una punizione: per qualcuno doveva, addirittura, rappresentare una parentesi di riposo dopo un’intensa attività geograficamente disagiata, mentre per altri, di limitate attitudini investigative, si configurava, agli occhi della Direzione del personale del Ministero, come l’impiego di una risorsa senza vantaggio e senza danno.

Quest’ultimo era il caso del valente maresciallo Giustoleo che, ormai non lontano dal collocamento a riposo definitivo, non si rassegnava a voler reinterpretare i tempi migliori in cui era stato alla Buon Costume di S. Vitale.

E il mattinale era l’esile filo che, idealmente, lo teneva appeso a quel lontano e attivo passato e con il quale voleva legare il suo commissario agli accadimenti di un presente lento e quieto come la corrente del Tevere, sotto le finestre del commissariato dell’Isola.

In realtà nessuno di loro sapeva se nell’Ufficio di Gabinetto del Questore qualcuno si occupasse ancora di raccogliere telegraficamente, in un paio di fogli, da sottoporre al Questore di prima mattina, i fatti delittuosi delle notti romane per i quali c’era stato bisogno di un intervento delle squadre volanti.

Le informazioni ancora calde che arrivavano con il caffè sulla scrivania del Commendatore, per quanto ne sapeva Martini, potevano anche essere cadute in disuso da più di un lustro. Ma il tempo per Giustoleo si era fermato a quando era brigadiere alla Buon Costume: infatti, indossava ancora gli stessi abiti, le stesse scarpe, le stesse cravatte, solo le camicie si erano rinnovate, rimanendo rigorosamente bianco-latte. E a quel tempo lontano verso le 7 del mattino, l’Ufficio di Gabinetto metteva in subbuglio le volanti per raccogliere i fattacci notturni e comporre, in perfetto stile burocratico il Mattinale per il signor Questore: una sintesi delle notizie che, il medesimo, avrebbe potuto trovare con più particolari sulla cronaca nera de Il Tempo, Il Messaggero, e, con qualche cautela d’obbligo perché d’opposizione, sullo stesso Paese Sera, fino alla sua estinzione.

Per questo Martini pensava che ora che la rassegna stampa il Questore, come il Ministro dell’Interno, se la potevano scorrere sull’Intranet del Sistema informativo, il mattinale delle volanti doveva aver per lo meno perso gran parte del suo fascino rituale, ammesso che fosse riuscito a sopravvivere.

Ma forse aveva ragione Giustoleo che senza i riti si demolisce la chiesa e che 365 mattinali, ogni giorno diversi, ogni giorno uguali, deposti ogni giorno su una scrivania di noce scuro avevano la stessa funzione delle pagine di un messale su un leggio nello studio del Vescovo.

Ecco perché da quando era stato comandato al commissariato di polizia fluviale non aveva fatto mancare al suo parroco quella sbirciatina sui peccati notturni della Capitale, che nessuna preghiera devota avrebbe potuto emendare.

Certo all’inizio riusciva ad avere di straforo una copia in più, da carta carbone, del mattinale del giorno prima, poi, raffreddandosi i suoi collegamenti il flusso si era diradato, in compenso era nato il fax e quindi, sia pure sporadicamente, entrava in possesso del mattinale del giorno che deponeva gloriosamente sulla scrivania di Martini.

Poi il tempo e l’acqua che scorreva sotto i ponti gli portò un mattinale diverso che non era lo specchio dei fatti di una notte brava, ma come una foto dei sedimenti depositati lungo chissà quale periodo.

Forse in Questura o nello stesso Gabinetto uno spiritello satirico propinava al suo collega fluviale un mattinale inventato e di nuova generazione, fatto sta che mediamente un paio di volte al mese, con la posta ordinaria, arrivava a Giustoleo quest’eco del passato che lui si premurava di sottoporre immediatamente a Martini.

E se il commissario quella mattina non si vedeva in ufficio, il buon maresciallo infilava una busta nella sua cassetta postale.

La moka stava borbottando, valeva la pena di godersi quel mattinale anomalo con una bella tazza di caffè nero e profumato, proprio come fosse un signor questore, commendatore dott. Omar Martini, una carica e un’onorificenza felicemente irraggiungibili per un commissario di polizia fluviale dal passato chiacchierato e dal presente sabatico.

Già Omar Martini, ormai da qualche settimana, aveva appunto preso le distanze dal suo lavoro e si era concesso un anno sabatico. Non che avesse inoltrato un’apposita domanda in Questura o al Ministero per questo, e neanche aveva smesso di andare in Ufficio e svolgere, quando capitava, le indagini relative ai limitati settori di competenza del Commissariato, soltanto si era autoautorizzato a permanere in servizio in una condizione da anno sabatico mentale. Così, senza decreti e senza proclami, poteva guardare la sua vita e il suo lavoro, a freddo, con la distanza e il disincanto che solo una città come Roma riesce completamente a trasmettere. E finalmente, nel perimetro trasteverino in cui aveva ristretto la sua vita, ora poteva godersi lo spettacolo in cui tante volte aveva recitato una parte.

Si versò il caffè e aggiunse un po’ di latte in polvere, poi aprì la busta gialla e sistemò la tazza e il foglio sul letto. Sdraiato, come un antico romano sul triclinio, scorse il mattinale sorseggiando il caffè macchiato male.

Ore 6,00 furto in un garage di Via Labicana 362, asportati gioielli, assegni e bijotteria varia per un valore imprecisato: probabile refurtiva di un precedente furto in un garage di Via Labicana 1615

ore 6,15 rapina nel Bar dell’Angelo (o dell’Angolo) di Via Panisperma (o Panisperna) un individuo, a volto scoperto dopo aver ordinato un cappuccino freddo e due cornetti alla crema si è eclissato, senza zuccherarlo.

Omar Martini si sistemò meglio e sorrise: si vede che gli piaceva amaro il cornetto alla crema...

ore 6,30 lite tra extracomunitari alla fermata della metropolitana di Muratella. Durante il controllo sul treno proveniente dall’aeroporto di Fiumicino il controllore non ha elevato multe a un gruppo di pakistani privo di biglietto. Sono insorte tre famiglie indiane, tutte provviste del titolo di viaggio, e hanno bloccato il treno alla Muratella. La circolazione ha potuto riprendere, dopo che il controllore è stato accompagnato al reparto Lancisi dell’Ospedale S. Camillo.

Ore 7,00 operai, effettuando scavi nel 2° cortile dello stabile situato in via Chiana, 48 di proprietà delle Assicurazioni Generali, per le riparazioni di una fognatura rinvenivano resti umani calcificati. Sul posto è convenuto il commissario del Distretto di Polizia Trieste-Salario, dott. De Cataldis.

De Cataldis! Ma allora era riuscito a farsi trasferire da Rieti a Roma, doveva aver trovato un bell’appoggio...Omar Martini si distese completamente, la lettura gli stava procurando un po’ di sonnolenza.

Quello era capace di far svolgere veramente indagini di polizia giudiziaria per un morto di qualche secolo prima, si, De Cataldis era il tipo che non archiviava niente, tutto per lui era “indagini in corso”.

Il telefono squillò interrompendogli bruscamente quei pensieri sonnolenti. Era Giustoleo.

- Lo avrà notato, dottor Martini.

- Che cosa, maresciallo? Che nel caso di via Chiana non abbiamo un assassino in libertà?

- No - continuò Giustoleo senza darsi pena di capire - che dal Gabinetto del Questore questa volta non mi hanno inviato i fatti della notte, dal mattinale manca la prima pagina!

Martini richiuse senza rispondere, è vero, era un mattinale che iniziava all’alba, ma di quale notte e di quale alba stavano parlando?

Solo la città era reale, il tempo e i fatti sembravano irreali.

Fatti trovati da gatti neri randagi che rovistavano negli angoli bui delle strade.

Martini ora si stava riaddormentando: non avrebbe mai confessato a nessuno che aveva pensato alle volanti in quel modo.

Ma dopotutto in quel tempo irreale lui stava vivendo il suo anno sabatico mentale.


Il trillo metallico del citofono lo fece sobbalzare.

- So’ Panzanera, affacciate!

Il tono era insolitamente perentorio, così, controvoglia Martini si avvicinò alla finestra e l’aprì.

- Vuoi salire? - Gli chiese sempre controvoglia.

Panzanera scrollò la testa - Puzzeno e puzzeno forte... – Strillò piano.

- Che hai sentito?

- Parlava quasi sempre solo lui, er tedesco, me parso de capì che è stato a Roma durante l’occupazione e che raccontava de quei tempi. I tre trucidi lo staveno a sentì come ‘n oracolo, gli facevano poche domande e tutte cattive. – Il tono della voce andava via via affievolendosi.

- Perché non sali ?- Gli propose Martini.

- Vado de prescia, ci ho ‘n appuntamento, e co’ te non me voglio allargà si non so sicuro de quello che dico.

Il commissario vide, dalla finestra, l’uomo girarsi e riprendere il suo trotto sgraziato sul marciapiede di Via Garibaldi: era sudato e affaticato, ma evidentemente non aveva alcuna voglia di mollare la presa.

Martini sbadigliò, si stiracchiò e si ridiscese sul letto. Scorse ancora il mattinale prima di appallottolarlo e gettarlo in un lontano cestino.

C’era un’ultima frase sul retro della pagina e, cosa inconsueta, era scritta a mano.

Ore 8,55 Ritrovato sul greto del Tevere all’altezza di Ponte Sulpicio un uomo dall’apparente età di cinquant’anni con pantaloncini verdi e canottiera nera. Un piede privo di scarpa, nell’altro calza una scarpa da tennis bianca e azzurra. Sul caso di annegamento svolge le indagini il commissario di polizia fluviale dott. Omar Martini.

Era troppo anche per un mattinale!

Forse lo stesso Panzanera aveva voluto scherzare quella mattina, oppure Giustoleo, che spesso battibeccava al bar con il corpulento proprietario.

Nessuno dei due aveva, però, una confidenza di quel tipo con il commissario…

Guardò l’orologio erano le otto e quaranta.

Quella frase che cos’era? Un delitto annunciato, una minaccia per interposta persona, una presa per il culo?

Certo ci sarebbe voluto un piccolo accertamento.

Si alzò, controllò la rubrica e chiamò il cellulare di Panzanera.

Era spento.

Sul caso di annegamento svolge le indagini il commissario di polizia fluviale dott. Omar Martini.

Questo era quello che l’anonimo, dopo aver annegato Panzanera, voleva che accadesse?

Ma se Panzanera era vivo e vegeto, anche se affaticato dalla corsa, fino a cinque minuti prima, che senso aveva tutto questo?

Omar Martini storse la bocca infastidito: tutto ciò che turbava il suo anno sabatico mentale, gli procurava fastidio.

No, quella sarebbe stata soltanto una mattinata sonnacchiosa. Sonnacchiosa e oziosa nel fluire lento di quel periodo di vita, lento come il Tevere sotto i ponti, o come il pallone della Goodyear nel cielo di Roma.

Il suono del telefono increspò l’aria. Senza produrre altre conseguenze.

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