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Il villino color giallo cromo aveva un aspetto gradevole e proporzionato: due piani e una mansarda sotto il tetto spiovente. Un balconcino attorniato di gerani rosa al primo piano, proprio sopra il portone d'entrata, attirava subito l'attenzione del visitatore che percorreva il vialetto del giardino. Uno schermo d'oleandri segnava il confine tra il giardino e la strada. Nel complesso una casa adorna quanto basta e aggraziata, che aveva vagamente l'aspetto di un giocattolo.

La camera da affittare era al primo piano con la finestra che guardava sul retro del giardino, dove una parte era adibita ad orto, e su una via laterale molto silenziosa. La stanza era grande e conteneva un piccolo letto messo contro la parete ed un comò, pure addossato ad un muro, con uno specchio sproporzionato sopra, cosicché la luce della finestra illuminava il centro della stanza completamente sgombro.

Il precedente inquilino, uno studente di ingegneria, se ne era andato da pochi giorni e la padrona di casa aveva passato voce per cercarne uno nuovo.

Quella mattina si presentò lui, con cappotto e cappello nonostante la temperatura relativamente mite, carico di pacchi e scatole, traversò il vialetto ghiaioso e bussò alla porta d'ingresso. La padrona di casa lo invitò ad entrare e a mettersi comodo; così lasciò i pacchi nel vestibolo, si tenne il cappotto e si tolse il cappello.

La donna lo guardò interessata mentre prendeva posto su una bassa poltrona: due piccoli occhi neri brillavano su una testa ad uovo, quasi completamente calva. Dietro, vicino al collo, una coroncina di capelli neri offriva una base larga al buffo ovale del cranio.

L'inquilino aveva modi educati e fu subito possibile accordarsi sul prezzo, sull'ora dei pasti e sull'uso della cucina in fondo alle scale. La proprietaria era soddisfatta, mentre incassava una settimana di anticipo: il nuovo inquilino era certo più metodico e preciso dello studente.

E infatti appena dopo, all'ora del tè, nel salotto al piano terreno, la padrona di casa sentì dei piccoli, discreti rumori metallici provenire dalla stanza del nuovo inquilino. Quella sequenza di piccoli scatti, come di incastri che si chiudevano, andò avanti per tutto il pomeriggio fino all'ora di cena.

A tavola furono scambiate le informazioni di rito tra padrona e pensionante. Lei apprezzò molto che lui le versava il vino e che masticava senza far rumore.

Raccontò che si sarebbe trattenuto un mese in quella città: doveva effettuare un'accurata ispezione alle attrezzature e ai macchinari della locale miniera di carbone dove il mese prima erano morti tre minatori.

- Un lavoro di grande responsabilità - esclamò la proprietaria - e che certo richiede una bella competenza.

L'uomo chinò la testa sulla scodella e riprese a mangiare, spiegando che, in fondo, si trattava di un lavoro come un altro. In quella posizione non si poteva proprio fare a meno di notarlo: la testa era più grande del dovuto rispetto alle spalle; questa sproporzione e i lineamenti minuti determinavano una certa estraneità della figura riguardo alle parole che da questa uscivano.

Quando versò l'ultimo bicchiere di vino rosso, nel posare la caraffa di vetro, una piccola goccia apparve improvvisamente sulla tovaglia di lino bianco.

L'uomo sussultò - Sono spiacente...

- Non si preoccupi, tornerà bianca - cercò di tranquillizzarlo la padrona di casa, ma guardò indispettita la macchia allargarsi.

-...Sono proprio spiacente - ripeté l'uomo con lo sguardo fisso sulla macchia di vino, un po' più larga di prima.

La mattina dopo l'uomo non uscì né presto né tardi, ed a ben ascoltare - come del resto fece la padrona di casa dalla sua poltrona in salotto - si poteva sentire provenire dalla camera un rumore uniforme e costante simile a quello di piccoli cuscinetti o pulegge rotolarsi orizzontalmente su un segmento metallico.

Il rumore andò avanti tutta la mattina in maniera attenuata e all'ora di pranzo il pensionante non si presentò a tavola.

Il pomeriggio il ronzio ricominciò prestissimo provocando ormai il turbamento e il nervosismo della padrona di casa che, seduta sulla sua poltrona un salotto, cercò di calmarsi con del lavoro a maglia: una lunga e grossa sciarpa di lana, color cammello, a vago di pepe.

Verso sera, dopo che l'uomo aveva saltato anche la cena e il discreto fruscio metallico continuava regolarmente, la donna salì al primo piano e si accostò alla porta della camera.

Il tipo di rumore si distingueva nitidamente, infatti da quel punto d'ascolto si poteva coglierne il ritmo a tratti accelerato e a tratti più lento, come per un ansimare in salita; ogni tanto poi si chetava del tutto per riprendere subito dopo.

La padrona di casa pensò se non fosse il caso di bussare alla porta, ma il suo codice di land-lady le vietava perentoriamente di disturbare l'inquilino nella sua prívacc..

Ridiscese le scale perplessa e incuriosita.

La mattina dopo si dedicò al suo orto, era tempo di disporre i filari di canne incrociate per le piantine di pomodoro... lavorava e guardava la finestra del nuovo inquilino, non l'aveva visto uscire. I vetri della finestra erano chiusi, nonostante la calda giornata di sole, e anche in quelle condizioni, se si prestava l'orecchio, continuava ad avvertirsi quel regolare ronzio; un trottolare sommesso trasudava dal silenzio della casa.

La donna lasciò cadere un fascio di canne defogliate e appuntite e rientrò in casa. Salì le scale in punta di piedi nonostante calzasse gli scarponcini da giardinaggio, e guardò con ostilità la porta serrata della camera.

Si accostò, si abbassò lentamente, cigolando un po' sulle ginocchia, e portò l'occhio all'altezza del buco della serratura.

Da quella posizione poteva vedere buona parte del centro della stanza ed ancora un altro suo scorcio riflesso nello specchio sopra il comò.

Sembrava che i pavimenti della camera e del bagno fossero ricoperti da un sistema intricatissimo di binari, con i relativi scambi e i passaggi a livello.

Le piccole rotaie correvano dritte per lunghi percorsi, disegnavano ampie curve di livello, s'inerpicavano su alte colline di cuscini e traversavano l'altipiano del materasso. Un ardito ponte ferroviario era sospeso su tutta la lunghezza della vasca da bagno piena d'acqua e la stazione... la stazione s'intravedeva dietro la galleria sotto il letto, prima del più grande e complesso snodo ferroviario di tutta la rete.

Nel seguire l'intricato tracciato la padrona di casa s'imbatté anche nella fonte del rumorino: un piccolo treno con la locomotiva e una lunga fila di vagoni. Sfilavano vagoni postali, carrozze di I e II classe e, in coda al piccolo convoglio, sembrava vi fossero alcuni carri frigoriferi ed altri ancora per il trasporto delle autovetture.

La donna era allibita, le ginocchia indolenzite e l'occhio... dilatato su quel paesaggio ferroviario dentro la sua stanza.

Ma la cosa che la rendeva maggiormente perplessa era che, nonostante la buona visuale della stanza, non riusciva a vedere in nessun angolo il pensionante. «Eppure» pensò «non è sicuramente uscito da questa mattina, anzi non è mai uscito un istante da quando è arrivato».

La curiosità residua e 1'indignazione montante la spinsero a compiere il passo supremo per una affittacamere: irrompere nella privacy di un inquilino. Si raddrizzò e si diresse verso la sua camera da letto, dal comodino prelevò un mazzo di chiavi, dove si trovava una seconda chiave della camera data in affitto. Ritornata davanti alla porta del pensionante si assicurò che la scena fosse simile a quella di pochi istanti prima, e, girata la chiave nella serratura, aprì la porta.

In quell'istante lui aveva appena iniziato il traver;amento del lago grande sul lungo ponte metallico. La listesa azzurrina delle acque gli dava sempre una gioia nuova: alla fine del ponte la discesa era rapida e doveva rallentare fortemente l'andatura, come richiesto dalle nuove norme dopo gli ultimi incidenti nazionali, azionando il sistema di frenatura. Poi un lungo percorso diritto dove poteva scorgere in lontananza, con quel sottile gusto che procurano i meccanismi perfetti, i passaggi a livello abbassarsi. Era un annuncio, una breve anticipazione della sua corsa, dello scorrere veloce di quel piccolo meraviglioso convoglio.

La collina rallentò l'andatura e permise all'uomo di godersi ancora una volta il treno in tutta la sua lunghezza con i carri merci - ce n'era anche qualcuno per il carbone - che chiudevano il serpentone dei vagoni. Poi col cuore in gola iniziò la ripida discesa.

Improvvisamente, dal suo posto di guida all'interno del locomotore, vide due enormi piedi che invadevano la stanza e sportosi dalla finestrella laterale riconobbe il corpo mastodontico della padrona di casa. Subito dovette ritirarsi da quella posizione per tornare alle manovre visto che stava per imboccare a velocità troppo sostenuta la lunga galleria. Rallentò l'andatura e si trovò immerso nel buio cupo del tunnel: una improvvisa ansia, quasi un presentimento, mista a quella pastosa sensazione di assenza di immagini che sempre gli procurava la corsa attraverso la galleria, gli fece ritardare l'accensione dei fari.

Quando già s'ingrandiva lo specchio di luce sul fondo, li accese nel tentativo di guardare con i suoi piccoli occhi oltre la fine del letto.

Lei dopo un giro d'orizzonte per la stanza, che le aveva rivelato qualche altro particolare prima non notato, prese a osservare con curiosità quel trenino che viaggiava sicuro.

Strizzò i grandi occhi tondi, piegò il tronco in due e intravide, proprio all'uscita della galleria dietro il vetrino del locomotore, in testa al convoglio, un omino piccolissimo con un microscopico berretto da ferroviere sulla testa ad uovo.

Si drizzò di scatto con le reni doloranti, guardò di nuovo in basso aspettando l'entrata della locomotiva ín stazione e con il piede sferrò un preciso calcio contro il trenino, scaraventandolo verso il muro.

Lui fece appena in tempo a scorgere l'enorme massa nera della scarpa, sentì le ruote della locomotiva staccarsi dalle rotaie e l'intero treno percorso da una grande botta, come un'esplosione che lo sollevava in alto. Il locomotore e i primi tre vagoni si schiantarono contro il muro e, poi, precipitarono sventrati al suolo.

Tra le lamiere contorte della locomotiva giaceva un corpicino straziato e sanguinante. Dalla divisa del ferroviere le macchie di sangue si andavano man mano allargando sino a gocciolare sul pavimento. Dopo pochi istanti nei pressi del disastro ferroviario c'era un'enorme, sproporzionata macchia di sangue, proprio ai piedi dell'affittacamere, vicino ad un cuscino.



QUEL TRENO PER...
di Eusebio Ciccotti

Nato come favolista, Giuseppe Fiori si è poi dedicato al giallo firmando, in coppia con Luigi Calcerano, diversi romanzi Da L'uomo di vetro (Il Ventaglio, Roma; finalista al Mystfest 1988; tradotto in russo con il titolo Kto je ti, Iuda?, Galart, Mosca), a Sherlock Holmes (Archimede, Milano, 1989), al poliziesto-umoristico di ambiente mafioso Serpentara PS. (Nuova Italia, 1992), sino al «giallo-noir,» (Cerami) Filippo e Marlowe indagano (Valore Scuola, Ronca, 1996).

L'ironia-parodia di casi apparentemente “gialli” brulicanti nel mondo trasversale della metropoli sul Tevere - scenario dal cast variopinto: bidelli e falsi poliziotti; professori e falsi commissari; infermieri e presidi, extracomunitari e chimici-ecologi è la costante (formale- tematica della scrittura dei due autori. Va precisato però, appunto, quell'’apparentemente’: infatti la ‘giallistica’ dei due romani ha sempre fornito una chiave di lettura critica del genere indirizzandosi verso il metagiallo.

«Calcerano e Fiori» nota Cerami «sollo i primi a non credere al genere del "giallo". Ecco che allora la ricerca della verità diventa mero gioco, gusto di risolvere rebus e sciarade, al di là d’ogni edificante filosofia». E più avanti: «Con indubbio talento i due autori si scelgono un genere impossibile per giocare con l’impossibilità. E dietro a quest’ultima si cela, amaro e vinto, il fantasma dell'utopia, di quel sentimento della palingenesi Cile appartiene solo ai giusti [...]».

Qui presentiamo un racconto, Privacy (1959), a firma del solo Fiorì, che conferma questa peculiarità stilistica, ossia quel partire dal giallo, citandolo tra le righe, solo per ‘superarlo’ verso «il fantasma dell'utopia», l'allegorico, la vita altra, quella vera, utilizzando un genere più ‘ampio’, ‘classico’ e (crediamo) maggiormente complesso: l'assurdo (quotidiano). Privacy si colloca alI'interno della tradione del racconto breve, in chiave, appunto, assurda-surreale, che va da Puškinl a Gogol, da Cechov a Kafka, da Buzzati a Durrenmatt sino ad Esterhazy. La forma breve è assimilabile al tempo musicale di un rondò o di un valzer, dove pare che non accada niente, perché tutto è circolare, ma poi, all'ultimo giro, o qualcuno cade, o si sente uno sparo. Il ‘mistero’, ingrediente base del giallo, c'è, ma non è pressante. Il lettore avanza sì diverse ipotesi, circa 1'uomo nella stanza, ma può anche distrarsi osservando altre cose della ‘scena’ (l’interno-casa, l'orto) ed attende, calmo, sino a poco prima della fine. Quando non infilza il suo occhio -coincidente con quello della padrona-voyeur – nell’inquadratura ritagliata dal buco della serratura: autentico 'schermo' del pre-cinema che, da sempre, incuriosisce tutti.

Qui accade che due mondi scorrono paralleli come nell'Alice di Carroll. L'uomo è entrato al di là di uno specchio (la porta della sita stanza) e vive in un'altra - la sua autentica-dimensione. Accidenti se vera! Ma ridicola per chi possiede un solo punto di vista (la donna, lei metamorfosi orrenda, improssivo mostro di vita, inaspettato Ciclope: chi rappresenta? lo schiacciante obbligo della realtà “ufficiale”'? tutti noi che non sappiamo vedere/leggere le piccole cose?).

Il procedimento narrativo-rappresentativo di Fiori ci rapisce per il suo montaggio sincopato che lega non solo citazioni letterarie, ma anche rimandi iconografici : dalla pittura al cinema.In quel trenino con il suo minuscoloo ferroviere come non vedere il suggerimento di un Magritte o di un Topor? E nel terna del ‘treno lanciato per i suoi percorsi’ quanto cinema (da Renoir a Germi, da Koncjalovskíj a Palesjan). E, soprattuto, il finale: una successione di inquadrature (dettagli/p.p./campi/controcampi) di cinema scritto.

Sul versante dell'argomento, è il temaa della metamorfosi, proveniente - ci si passi il gioco - dalla ‘linea ferroviaria slava’, Kafka-Bulgakov (metamorfosi che si offre al lettore già nel suo mutamento avvenuto e ‘normalizzato’: come poi sarà anche in Buzzati), che riceve nuova linfa. Perché esso è contenuto, come in una matrioska, all'interno di un altro tema, quello del rapporto giocattolo/realtà: entrambi risolti con felice esito narrativo.

L’uomo ‘delicato giocattolo’ in mano ad altri uomini (la maggioranza) che non sanno giocare (= vivere il mondo), può essere distrutto, con un semplice gesto. Già all'inizio la casa è presentata come « un giocattolo». Poi l'inquilino morirà dentro un giocattolo (il treno): questo l'unico ‘amico’ con cui poter comuicare, madre' nella quale poter vivere una normale vita. Ma mentre la donna ‘vive’ in una casa che sembra un giocattolo senza comprendere la poesia perché morta alla vita (= al gioco), 1'inquilino diventa se stesso, in una casa non sua, attraverso il gioco dei bimbi, proprio per tornare ad essere un puro di cuore, come invitano i testi sacri.


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