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La Scala d'Oro 2005, da Il Pepeverde, numero 25
«Chi non conosce ormai questi gloriosi nomi? Tompusse e Dammilosso: due personaggi che hanno fatto parlare molto di sè». Questo era lo stacco iniziale di una delle avventure di Tompusse che "La Scala d'oro", la nota collana di libri per bambini e per ragazzi della Utet. Si tratta di una collana importante, da molti ancora ricordata, perchè su di essa si formarono molte generazioni di lettori. L’opera, realizzata sotto la direzione di Vincenzo Errante e Fernando Palazzi, pubblicò ben 93 volumi tra i11932 e il 1936 organizzati in otto serie per fasce di età (dai 6 ai 13 anni). Venne poi a lungo ripubblicata nel dopoguerra e conservò per anni eccezionali consensi.

All'epoca pochi potevano competere con un' opera di questa portata, se non la "Biblioteca dei miei ragazzi" edita da Salani: in essa vennero pubblicati un centinaio di volumi, la maggior parte dei quali di traduzione francese. "La Scala d'oro" invece puntò tutto su autori e illustratori italiani, i quali rielaborarono i grandi capolavori della letteratura per l'infanzia (da Peter Pan a David Copperfield) e i classici per adulti, di epoche e culture di verse (dalla Gerusalemme Liberata e l' Eneide ridotte e rinarrate in prosa a Il ro manzo di Guerrino il Meschino) . Nessun volume, inserito nella collana (la precisazione è importante), risulta elogiativo del regime fascista. L’intento dei riduttori (tra cui ricordiamo Mario Buzzichini, Milly Dandolo, Aldo Gabrielli, Marino Moretti, Giuseppe Morpurgo, Eugenio Treves, Diego Valeri) è quello di una narrazione ben fatta, molto curata in particolare nel linguaggio; l'intento degli illu- stratori (tra cui ricordiamo Carlo Bisi, Golia. Gustavino, Vsevolode Nicouline, Nino Pagot, Pinocchi, Aleardo Terzi) è quello di dare risalto alle più belle azioni, con una cura attenta ai costumi e all'uso sapiente del colore.

La collana, evidentemente, fu "zona franca", tollerata dal regime. Vi erano poi opere "fuori collana" in cui venivano pagati i tributi all'ideologia dominante: ne è un esempio il volume di Leo Pollini, Guerra e fascismo. Ma il semplice fatto che la Utet ponesse il volume fuori collana indicava l'eccezionalità (il libro ovviamente non venne riproposto nelle ristampe del dopoguerra).

Narratore e voce narrante

In particolare, le storie di Tompusse, come quelle di Peter Pan e altre appartenevano alla serie I della collana, quella cioè per i ragazzi di anni 6. « Tompusse è discendente di quel Tom Pouce (che vorrebbe dire poi Tommaso Pulce), il nano più raro del mondo, che girava da un continente all'altro nei baracconi delle fiere e dei circhi equestri. Il nostro Tompusse ha proprio lo stesso caratrere dell'antenato: anche lui è un soldo di cacio molto avventuroso».

Dammilosso, l'inseparabile bassotto bianco e nero, era un cane parlante, con la funzione di spalla, comicamente saggia, dell'intrepido protagonista. Il nome, Dammilosso, l'aveva ereditato dal padre che l'aveva ereditato dal nonno «si tratta insomma di un nome illustre e famoso - spiega il narratore - per aver diritto al quale, cioè ad avere l'osso, ogni cane è disposto alle più generose prodezze». A corredo, Tompusse ha una sorellina che compare e scompare nelle storie secondo le necessità, essendo la parità tra i personaggi maschili e femminili, in quegli anni, una meta ancora lontana.

Anche l'onomastica non è generosa con la sorellina di Tompusse: il suo nome infatti è Pippoletta.

"La Scala d'oro", considerata l'epoca, aveva una veste editoriale notevole che agganciava al suo amo bambini e ragazzi schierati a bocca aperta davanti alle sue numerose ed eleganti illustrazioni. Nella prima pagina era sempre raffigurata una volpe azzurra in tight che apriva un grande sipario rosso. La coda azzurra le spuntava tra le code nere del tight e il gesto della mano ci invitava esplicitamente a varcare quel sipario. Ma il significato di quel gesto e di quei segni non era un esplicito «Bambini, ha inizio lo spettacolo» quanto un più allettante invito «Bambini, entrate in questo spettacolo». Non a caso l'editore aveva scelto una volpe!

Nel 1945 non sapevo ancora leggere. Era cioè una stagione in cui si ha bisogno di una voce narrante, generalmente un paziente e amorevole familiare che sappia impersonare, con fascinose tonalità, i vari personaggi di un'avventura e la melodia rapsodica di una storia per bambini. Per la verità i libri de "La Scala d'oro" erano già "narrati da. ..", nel senso che l'editore, per adattare le storie alla fascia d'età cui aveva destinato la serie - a sette anni iniziava già la serie II - aveva affidato ad autori specializzati la "pellicola ori- ginale" perche venisse tagliata e montata in maniera più semplice e scorrevole.

Non importa ora, a distanza di decenni, stabilire il senso dell'operazione, quanto cogliere il senso dell'intera collana che presentava le sue varie perle, non nella lucentezza data loro da madre natura (ovvero gli autori originali) ma nell'opalescenza di un narratore in genere minore. Ecco allora che il familiare di turno si presentava come una sorta di narratore di secondo grado, oppure di semplice voce (nel senso proprio del termine) narrante.

Insomma "La Scala d'oro", soprattutto se affrontata in età anticipata rispetto a quella indicata nella serie, ha fatto entrare plotoni di Tompusse, pronti ad accogliere l'elegante invito della volpe azzurra, nell'affascinante e perturbante mondo delle narrazioni.

Lo spirito compagno

Dicono gli esperti che nell’uomo c’è una predisposizione naturale al racconto, antopologicamente dimostrata dalla nascita dei miti, e nell’infanzia dell’uomo questo stato di natura si traduce in una particolare propensione all’ascolto delle fiabe. La ripetitività e la monotonia di una voce o, al contrario, la ucentezza di una recitazione che interpreti più personaggi sono tra gli strumenti privilegiati per sistematizzare la conoscenza di sè e del mondo circostante. Un'operazione complessa e destinata a dispiegarsi sul lungo periodo (quanto diversamente lungo?) ma che certo muove i primi passi in quella fase iniziale, proprio per la forza primigenia del racconto di fiabe.

Così, di racconto in racconto, si allineano nella tua stanza una folla di piccoli personaggi, appena più grandi di te, piccoli esploratori, bambini che non crescono, piccoli principi, che continuano a tenerti compagnia anche quando la voce che li ha evocati è stanca e si riposa, perche l'ora è tarda.

Dopo un po' di tempo, dopo un po' di storie la loro compagnia diventa una costante, possono persino giocare con noi e, soprattutto, ci invitano a fantasticare su di loro e, anche, a fare un passo in più: a reinventarli o, meglio, a inventarne di nuovi.

Credo che la prima invenzione di un narratore in erba - dopotutto è nei primi anni di vita che si scopre il tipo di talento che ciascuno possiede - sia quello dello spirito compagno. Una sorta di ologramma che frequenta la nostra casa, maggiormente nelle ore serali e in quelle notturne, e che ha i connotati dei personaggi delle favole che ci sono state raccontate.

Ma se ne discosta anche! Già, perche è il nostro spirito compagno, e quindi non può essere uguale a Tompusse e neanche a Peter Pan. Attraverso lo spirito compagno l'immaginazione infantile esprime una sua vitale necessità, elabora un gioco, un intreccio semplice di situazioni e individua una direzione verso cui orientare le successive invenzioni.

Il pericolo e la paura, l'allegria e il gioco, l' altro da sè e, addirittura, la suspense si muovono in quegli intrecci semplici come figurine da colorare: intrecci semplici che compongono, nella diversità dei talenti, situazioni e condizioni assolutamente generative. Più in là nella vita, molto più in là, scopri che un tale esercizio - quello del leggere, del raccontare, dello scrivere - crea una sorta di affinità parentali con persone reali e con personaggi inventati che riguarda non solo la tua vita, ma anche quella degli altri: un filo continuo che dall'infanzia si snoda e s'intreccia intorno a molte esistenze.

La clessidra di Peter Pan

Le storie de "La Scala d'oro", nel passaggio dalla prima alla seconda serie, si facevano corali, non c'era più un "piccoletto" che affrontava il mondo e i suoi misteri come avrebbe poi saputo fare per gli adulti, o quasi, il grande Tin Tin, ma una pluralità di personaggi destinati a misurarsi direttamente in una determinata realtà. Certo lontana nel tempo e anche nello spazio geografico ma, comunque, direttamente nella realtà storica.

La familiare voce narrante affrontava queste storie, per ultime, quasi con riluttanza, anche per il buon motivo che spesso non erano del tutto inadatte all'età del troppo piccolo ascoltatore. Ma in fondo perchè il passaggio dalle storie alla Storia incuteva una giustificata inquietudine; la stessa inquietudine che avvertiamo quando stanno scorrendo nella clessidra gli ultimi granelli dei giorni dell'infanzia, anche se Peter Pan, anzi, J. M. Barrie, sapeva bene quando rovesciare quella clessidra.

Ne "La Scala d'oro" la storia del bambino che non voleva crescere è illustrata in maniera veramente singolare (il disegnatore è Gustavo Rosso, più noto come Gustavino): Peter Pan è un improbabile bambino di quattro o cinque anni, spesso imbronciato, e con radi capelluzzi sulla testa. Sembra più che altro un neonato fuori misura, anche perchè, per tutto il libro, è disegnato al naturale. All'inizio, quando spicca il volo dalla finestra della sua cameretta londinese, ha addosso una corta camiciola da notte che perde ben presto, rimanendo, in tutte le avventure che si susseguono, completamente nudo, con un laccio a tracolla, alla cui estremità. pende, con una opportuna funzione coprente, un flauto.

Questa ambigua raffigurazione di Gustavino mi condizionò nel ritenere Peter Pan grosso modo un mio coetaneo con tutto ciò che può seguire nella vita di un individuo alla presa d'atto di una tale inadeguata condizione. Inadeguata per due opposti motivi: da un lato il mio coetaneo del libro illustrato volava, duellava con i pirati, era ammirato da Wendy, dall'altro....beh ero alquanto sconcertato dal fatto che la mia attuale condizione fosse talmente straordinaria da doversi reiterare per sempre.

Era obiettivamente troppo presto per scoprire la condizione fondamentale del lettore, dell'ascoltatore e dello spettatore: la sospensione dell’incredulità che, in inglese, ha il suono più accatrivante di suspencion of disbelief

Fu così che la volta successiva lasciai la clessidra scorrere secondo la legge di gravità, senza rovesciarla... Mai più?

Incontri anticipati

Avendo poi, nella vita da adulto, praticato, sia pure in maniera incidentalmente collaterale, i linguaggi della narrazione, vorrei, a tal proposito, permettermi una digressione. Per notare, anzitutto, come essi si siano intrecciati e vicendevolmente arricchiti, compiendo un processo di ibridazione fra la parola e l'immagine che, con la nascita del cinema, ha percorso rutto il Novecento.

C'è però, nelle storie per ragazzi, un'altra sorta di ibridazione più importante e più radicata: quella delle età dei lettori. Il passaggio dell'incontro con la lettura all'incontro con la letteratura sta proprio in quei romanzi a doppia trazione per ragazzi e per adulti, il cui elenco sarebbe interminabile: dal Pinocchio di Collodi alle Avventure di Tom Saywer di Twain, da Piccole donne della Alcott al Richiamo della foresta di London alle opere di Verne, Salgari, Kipling ecc. la cui rilettura da adulti permette di scoprire i significati più o meno sommersi che non avevamo colto da ragazzi.

Il motivo di questa lunga traiettoria di una storia che, lanciata da un adulto, cade tra le mani di un ragazzo e rimbalza (o viene rilanciata?) verso l'alto non risiede soltanto, però, nella necessità di una rilettura nelle varie stagioni della vita – L‘isola del Tesoro va letta almeno nelle tre età dell'uomo -, ma si trova proprio nella struttura delle favole e dei romanzi d'avventura e nella solidità e universalità di alcuni personaggi immaginari «portatori di un destino in cui ognuno può intravedere qualcosa del proprio».

La storia per ragazzi che, rimbalzando, ci ritorna tra le mani, non è un connotato dei nostri tempi, ma, certo, nei nostri tempi il palleggio si è intensificato. È un campo d'indagine socio-letteraria e psico-mediale tutto da esplorare: l' homo videns ha lo stesso bisogno di storie del ragazzo, anzi, ha bisogno di storie con la stessa struttura?

Forse il problema non risiede soltanto nella prevalenza dei linguaggi che si sono affermati, ma nella maggiore complessità delle condizioni esistenziali: i riti iniziatici non sembrano terminare più con l'adolescenza, ma si ripropongono con il mutamento dei contesti che l'adulto è costretto ad affrontare lungo tutto l'arco della vita. Così come accade per la formazione, che deve svilupparsi con una traiettoria ben più lunga rispetro al recente passato.

Colpa o merito della flessibilità del lavoro, dell'instabilità dei contesti, della volatilità dei rapporti o più semplicemente della precocizzazione da un lato e della sindrome di Peter Pan dall'altro?

Ma torniamo a "La Scala d'oro". Le storie corali, dicevo, le Storie con la esse maiuscola. ..Due volumi rimanevano impressi per la bellezza delle illustrazioni e per la capacità di seduzione del testo: Le leggende del Graal e Dal libro di Dio con il sottotitolo Episodi biblici.

Quest'ultimo, ricordo, aveva un dono particolare, fino ad allora sconosciuto per le mie orecchie, dono che mia nonna non esitava a mettere in luce: nei diversi racconti talvolta risuonava la voce di un non-personaggio o meglio del creatore di tutti i personaggi. Risuonava la parola di un Dio, certo adattata dal Tal dei tali ma pur sempre tonante quando comanda a Noè «Ho stabilito di mandar sulla terra un gran diluvio, per castigo agli uomini. Costruisci dunque un'arca, ed éntravi con la tua famiglia e con una coppia d'ogni specie di animali». È la voce del Narratore che pronuncia le parole iniziali della Genesi «In principio». Era un incipit che alludeva divino, che risuonava nelle orecchie di bambino in maniera non proprio comprensibile.

Intanto ora sei anche tu in principio, in una condizione importante, generatrice di molte cose che verranno. ..Nella sfera dell'uomo avviene, forse, qualcosa di molto vicino alle leggi della fisica riguardo alla così detta sfera celeste, in cui la massa di ciascuna stella contiene tutto il suo destino.

In principio... Gli inizi nei libri della "Scala d'oro" sono sempre difficili, troppo carichi, troppo importanti, troppo determinanti. Ma che c' è di più bello di un inizio?

Nella leggenda del Graal, per la prima volta, attraverso tutti gli adattamenti e le semplificazioni impossibili facevi la conoscenza con l'avventura cavalleresca: comparivano davanti ai tuoi occhi cavalieri erranti con l'elmo, la corazza, lo scudo e lo spadone. Cavalcando cavalli bianchi, i cavalieri reggevano una lunga e variopinra lancia, pronta a trafiggere il male, che si faceva più minaccioso all'infittirsi della boscaglia.

Atttaverso quei personaggi e quelle storie incomprensibili, attraverso quei nomi inconsueti, Artù, Parsifal, Merlino, Morgana, cominciava a delinearsi, tra le nebbie del mattino della narrazione, il misterioso fascino dell' allegoria. Nasceva così un mondo di significati nascosti, tutti affidati alla mimica, alle pause e alla sapienza del lettore-narratore. Che posso dire di quei miei primi incontri anticipati?

Solo che la sorte mi aveva collocato in un contesto ambientale e con le persone adatte per farmi affacciare ai bordi di un mondo allegorico, senza che mi sporgessi troppo. Era lì, in prossimità del sonno che mia nonna materna faceva da cantastorie, ponendo, più o meno inconsapevolmente, quelle vicende sul tappeto volante che porta il racconto verso il sogno. Che parentela stretta! Che identità di sostanza! Tra racconto e sogno, intendo...

È come se quella rappresentazione della realtà fosse intessuta nelle ore del giorno e in quelle della notte da esperienze simili, senza che sia percepibile la soglia di separazione brusca esistente tra il sogno e la realtà.

"La Scala d'oro", insomma, andava intessendo in quegli anni un arazzo incredibilmente vario nel disegno e nella trama per i piccoli italiani alfabetizzati e non; un arazzo che s'ingrandiva di giorno in giorno, di pari passo con l'espansione della tua geografia mentale.

Mentre di notte in notte potevi rivedere le zone di quell'immenso arazzo che ti comparivano davanti, apparizioni che completavano e complicavano via via quella stessa geografia mentalmente delineata a ritmi sempre più veloci. Si può dire che in un secolo freudiano come quello in cui abbiamo vissuto è difficile non attribuire ai sogni il ruolo che loro compete, ma nell'impossibile ricordo di quelle prime apparizioni notturne si fanno luce ancora impasti di storie, di personaggi, narrati da.. ..Come i libri de "La Scala d'oro".

Mi sembrava che nella grande stanza in cui si erano sedimentati una infinità di oggetti infantili di esistenze precedenti, al calar delle tenebre io dovessi elaborare il sonno attraverso la composizione dei sogni. C'era, insomma, l'inconscia esigenza di difendersi dalla solitudine notturna, con i suoi momenti di inquietudine, attraverso una proiezione rassicurante. All'infittirsi della buia boscaglia bisognava pur affrontare le oscure presenze su un cavallo bianco con la lancia variopinta in resta, come un cavaliere del Graal.

Ma si sa, la sostanza di cui sono fatti i sogni è sfuggente e indeterminata, nonostante i molteplici sforzi per determinarla…..Soprattutto quando ci si vuole affidare a lontani e imprecisi ricordi, soprattutto in principio.

Tra gli episodi biblici inclusi ne "La Scala d'oro" la storia di Giuseppe occupava circa un terzo di tutto il volume Dal Libro di Dio. Le profezie oniriche di Giuseppe, eroe-vittima, patriarca debole che si rafforzava di sogno in sogno, devono aver contribuito a realizzare quella giusta attenzione che il mondo dei sogni anda- va reclamando e, nello stesso tempo, a illuminare la soglia di separazione tra lo stanzone dei sogni e le altre stanze. Perchè i sogni di Giuseppe possedevano una robusta trama e un altrettanto robusto significato, fattori, questi, che segnavano un passaggio dai sogni, come momento intimo di narrazione per aiutarci a capire chi siamo, al racconto dei sogni che rappresentano l'estraneità con cui ci dobbiamo confrontare.

I libri de "La Scala d'oro" molti anni più tardi, come capita in tutte le case, andarono dispersi. Da parte mia regalai, quasi senza motivo, i rimanenti alla figlia di un conoscente, giornalista dell’"Avanti". Dopo un pò', riordinando la biblioteca, ne sentii la mancanza senza dichiararlo, per pudore naturalmente.

Giunse in mio aiuto la sensibilità di Pierpaolo, mio più caro e vecchio amico - uno spirito compagno venuto dalla realtà - che mi regalò tutti i libri della collana, insieme a carte, memorie e libri di una stagione di vita irripetibile. A lui è dovuta la mia gratitudine e la correttezza delle citazioni in questo articolo. E a lui è dovuta soprattutto la gratitudine per la più lunga, gentile e ironica amicizia che si possa immaginare: un'amicizia lunga una vita fatta di scambi di idee e di esperienze, di parodie e di paradossi.

Per tutta la vita il mio amico ha continuato ad essere un grande flaneur, un pensatore nomade, consapevole che niente, come una passeggiata, può far camminare i nostri pensieri. Perchè con Robert Walser, suo autore amato, non avrebbe esitato a dichiarare: «A spasso ci devo assolutamente andare, per ravvivarmi e per mantenere il contatto col mondo; se mi mancasse il sentimento del mondo, non potrei più scrivere nemmeno mezza lettera dell'alfabeto, né comporre alcunché in versi o in prosa». Il liceo "Tasso" di Roma, dove ha insegnato storia e filosofia per decenni ai figli e ai nipoti della generazione nata con le storie de "La Scala d'oro", ha, recentemente, voluto ricordare a tutti noi che gli dobbiamo qualcosa il professor Pierpaolo Rampazzi come «un interprete e un testimone della più pura spiritualità laica».

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