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Mister Schulz, non siamo cresciuti!

Il centenario della nascita di Charles M. Schulz è l'occasione per ripercorrere il nostro rapporto con i Peanuts, nella striscia di tempo che ancora si snoda immutabile di generazione in generazione.

Charles M. Schulz

Lo so: il mio titolo sembra l'accorato appello di tutti i personaggi al loro autore, Charles M. Schulz. Perché le vite di Charlie Brown, Snoopy, Linus, Lucy, Woodstock, Sally, Schroeder, Piperita Patty e degli altri sono state legate da una totale assenza di crescita, tanto esclusiva che nel mondo dei Peanuts non appare mai la figura di un adulto. Un microcosmo di bambini per lettori di tutte le età.

Qualche rara volta viene supposta l'esistenza di un genitore, di una maestra, senza che mai si materializzi la loro presenza, con le voci fuori campo soltanto riferite e con tutti i personaggi compresi in uno spazio i cui confini sono segnati soltanto da un tempo infantile.

La stessa zona dove noi lettori per tanti decenni siamo stati destinati a vivere, volendo lanciare, prima o poi a Mister Schulz lo stesso disperato appello dei suoi personaggi, magari scritto su un cartello che agitiamo davanti ai suoi occhi:

«NON SIAMO CRESCIUTI!».

Eppure l'aver letto i Peanuts nelle varie stagioni della vita - come a parecchi di noi da metà degli anni '60 è capitato con la rivista Linus - ci ha reso ancora destinatari dei numerosi messaggi inviati da quello scenario infantile, così unicamente immutabile. Uno scenario che è il nucleo delle eterne commediole delle nostre esistenze, in cui abbiamo scelto di essere Snoopy o Charlie Brown o Lucy o Linus e abbiamo incontrato tutti gli altri e inventato altre storie con altri personaggi.

Ma soprattutto avremmo voluto rimanere in quella dimensione di non crescita che Mister Schulz ha disegnato con rara semplicità e convinzione, tanto da riuscire a convincerci che, nel rapporto con le sue storie e i suoi personaggi siamo rimasti come eravamo da giovani. Insomma, sia pure in quota parte, non siamo cresciuti neanche noi!

Un adulto è tanto diverso da un bambino, eppure... Sì, le somiglianze sono spesso forzate, le divergenze molto più frequenti e le dimensioni una realtà ineludibile: una stella è più luminosa di una lucciola in un prato buio.

Eppure c'è una comune condizione psicologica in cui tutti noi, solo di rado, veniamo a trovarci: accade quando tra piccolo e grande intravediamo un labile collegamento, e quando quel piccolo “io” si trova momentaneamente e occasionalmente in sintonia con tutto il grande che gli gira intorno.

Accade per la prima volta nel cortile di casa!

Quando viviamo un momento straordinario in cui quello spazio così limitato ci sembra il mondo. È una sensazione che dà la vertigine e non capisci perché ti stia succedendo, e proprio a te, che il mondo non lo conosci, e che è tanto più grande e diverso da quel cortile.

Ma quella prima volta abbiamo intravisto le somiglianze: nel volto di una madre, nell'erba e nelle macchine, nella felicità e nel pianto, nei vestiti scuri e in quelli allegri, nella pioggia e nel sole, nelle biciclette e in un pallone che rimbalza tra i gatti appisolati. Tutto il cortile di casa era un mondo!

Il mondo che ti era capitato, e che era capitato a tanti altri a te somiglianti, anche se molto diversi... ma in quella dimensione mutevole quale sarebbe stata la tua parte?

Passata l'infanzia il cortile di casa si era allargato rimanendo sempre piccolo; non era più soltanto la casa, la scuola, il quartiere, ma spazi più vasti in città e fuori, fino a comprendere l'amore, il lavoro, le idee e le passioni. Non solo pioggia e sole ma forti venti di tempesta e brezze gentili.

E quella sensazione originaria che dal piccolo cortile passava all'intero mondo torna ad affacciarsi di tanto in tanto. Magari solo per tormentarti oppure, semplicemente, perché ti era entrata in testa senza che tu la comprendessi fino in fondo.

Ecco le sensazioni, i ricordi e le emozioni che Peanuts continuano a evocarmi ora che non dovrei più leggerli, ma continuo a scegliere di stare, come Snoopy, sul tettuccio di una cuccia per cani a scrivere le mie storie con una certa dose di immedesimazione. Snoopy è un bracchetto che sembra vivere insieme al suo premuroso padrone nel mondo reale - come un grande cortile - ma è anche lo scrittore di un interminabile romanzo (con il famoso incipit «Era una notte buia e tempestosa») e, in altri momenti, il pilota di numerose battaglie aeree in un cielo immaginario. Quanto queste situazioni siano il frutto di ibridazioni tra realtà supposta e immaginazione vissuta è provato dal tetto della sua cuccia, dove poggia la sua macchina da scrivere e dove guida il suo aereo da combattimento: su quel tetto ci sono i buchi dei proiettili sparati dal Barone Rosso.

Fortis immaginatio generat casum o quasi!

A questo proposito sentiamo direttamente le parole di Schulz (in Appunti autobiografici) «Un'altra cosa che spesso mi domando è perché a Snoopy piaccia trascorrere così tanto tempo sdraiato sul tetto della sua cuccia. Come fa a non rotolare giù? Mi ricordo che un veterinario una volta mi disse che quando un uccello si addormenta sul ramo di un albero, il suo cervello è in grado di inviare un messaggio alle zampe ordinandogli di stringere il ramo, cosicché l'uccello non cade. Perciò ho finito per convincermi che forse lo stesso succede con le orecchie di Snoopy. Mi immagino che, quando si addormenta, le sue orecchie si aggrappino al tetto della cuccia.

E naturalmente mi meraviglio delle straordinarie avventure di Snoopy. D'accordo, è plausibile che abbia questi sogni a occhi aperti in cui immagina di essere di volta in volta un chirurgo o uno scrittore di fama mondiale, o, soprattutto un famoso asso dell'aviazione della prima guerra mondiale. Credo che un cane, costretto a trascorrere giornate abbastanza noiose, abbia il diritto di rifugiarsi in un mondo fantastico per passare il tempo. Ma la domanda che mi assilla è questa: dove diavolo ha trovato il casco e gli occhialoni da aviatore?» Quando mi è capitato di scrivere storie comiche ho maturato la convinzione che il nostro cervello in qualche occasione si comporti come un disegnatore di fumetti, che ricerca la semplicità e l'universalità dei volti per inseguire situazioni comiche coerenti con le immagini realizzate. Astrazione e coerenza queste sono le caratteristiche, perché il disegno è un vettore molto efficace dell'intenzione comica che abbiamo in mente.

Quando a Linus si rizzano gli esili capelli che ha in testa perché Snoopy gli ha leccato l'orologio («Credevo che sarebbe stato scortese non assaggiarlo»), quei semplici tratti di matita visualizzano più delle parole la situazione sorprendente in cui è coinvolto.

Perché Charles Schulz, nonostante sia stato il primo disegnatore a mettere in bocca a bambini parole come “depresso” e “sfoghi emotivi”, non ha mai smesso di essere divertente, risolvendo spesso i dati del reale con un arguto motto di spirito.

Anche questa è una condizione evidentemente legata alla non crescita dei suoi personaggi e dei suoi lettori. Con Schulz i problemi esistenziali tipici dell'età adolescenziale e poi di quella adulta fanno il loro ingresso nei fumetti. Charlie Brown è spesso melanconico, insicuro, coltiva poche illusioni che si trasformano, per l'intervento di Lucy, in immediate delusioni. Finisce, però, con l'appartenere a quella gloriosa galleria che, nell'arco del Novecento, hanno interpretato il personaggio dell'eroe mite al cinema, nei fumetti e nei romanzi. Solo qualche esempio: per la semplicità e l'eleganza grafica il nostro Signor Bonaventura di Sergio Tofano, per il gusto comico il personaggio di Monsieur Hulot di Jacques Tati e per la sommessa iconocità del segno le illustrazioni di Josef Lada, che accompagnano Il buon soldato Sc'vèik di Hasek.

La “depressione” di Charlie Brown è anche il termine preferito dal Giovane Holden «E per molti versi» scriveva in un articolo di venti anni fa Adam Gopnik « Charlie Brown potrebbe essere Holden Caulfield sei o sette anni prima che scappi da scuola».

Linus è fragile, la coperta che tiene sempre a portata di mano ha tranquillizzato generazioni di lettori, che non hanno mai avuto il coraggio di confessare di tenere a disposizione l'equivalente della “coperta di Linus” per le loro piccole nevrosi.

Lucy ha lo sgradevole compito di demitizzare tutto il contesto: anzitutto il Baseball e il Grande Cocomero senza farli mai scomparire dal mondo dei Peanuts - un mondo composto dalle 17.897 strisce che Schulz, giorno dopo giorno, ha disegnato nella sua vita - anzi sono i due grandi temi in cui s'intrecciano pensieri e azioni dei personaggi principali. È scorbutica: quando Charlie Brown torna a casa dalle vacanze in colonia grida a Lucy «Sono tornato!», Lucy gli lancia un'occhiata annoiata dicendo «Sei stato via?»

Non ho mai giocato a baseball, ma ho visto molti film in cui il baseball occupava un ruolo centrale. Come nella vita di Charlie Brown.

Forse perché il baseball, come qualcuno ritiene, è una metafora, anche se non so bene di cosa. A parte dell'intera vita. Fatto sta che un suo personaggio mitico, un catcher italoamericano che si chiamava Yogi Berra - l'orso Yogi l'hanno chiamato così in suo onore - era uso creare, specialmente durante le interviste, modi di dire strampalati, e destinati a rimanere nel linguaggio comune: uno di questi è It ain't over till it's over.

E «non è finita finché non è finita» giustifica la perseveranza di Charlie Brown nonostante la prevedibile e inevitabile sconfitta della sua squadra in ogni partita.

Un'altra metafora presa di sana pianta dal baseball è quella della palla curva. «La vita mi ha lanciato una palla curva», cioè ti capita qualcosa di inaspettato e che richiede una reazione immediata per controllare la sorpresa, qualcosa che mette alla prova Charlie Brown e noi che tifiamo per lui. Indubbiamente il Grande Cocomero - di cui Linus è un seguace - è una zucca per la festa Halloween, ma sarebbe oltremodo riduttivo rinchiudere la relazione di Linus con il Grande Cocomero nella logica di “dolcetto o scherzetto”. Il suo è un rapporto stralunato, sorprendente, quasi metafisico, insomma una palla curva tirata al lettore.

Personalmente credo che con il Grande Cocomero Schulz alludesse, sia pure nel contesto festivo e giocoso di Halloween, a un viaggio immaginario di Linus oltre i confini del suo orto.

Tutti i bersagli preferiti da Lucy - Charlie Brown, Linus e Snoopy - sono buoni incassatori di colpi e qualche volta ribattono. Come quando Linus insiste per farsi leggere una storia, seccata Lucy afferra un libro, lo apre a caso e dice: «Un uomo nasce, vive e muore. Fine».

Getta il libro e Linus lo raccoglie premurosamente, «Che racconto affascinante. Ti fa quasi venir voglia di aver conosciuto quel tale». Dando scacco a quella nutrita schiera di negazionisti della lettura che asseriscono con protervia: «I libri sono una perdita di tempo».

Nei Peanuts il feeling è rigorosamente a senso unico. Schroeder, che con il suo pianoforte giocattolo suona Beethoven, è indifferente nei confronti di Lucy, distesa ed estasiata ai suoi piedi. Sally Brown ama il flemmatico Linus, Marcie è infatuata per l'ultima arrivata, Piperita Patty, che marca distanza, e Charlie Brown non ha speranze con la fantomatica ragazzina dai capelli rossi.

Il romanziere americano Jonathan Franzen, uno dei maggiori estimatori dei Peanuts, nel suo scritto Comfort Zone - Un'infanzia con Charlie Brown, parla del talento di Schulz: « Lo scopo di una striscia, amava dire Schulz, era quello di far vendere il giornale e rifar ridere la gente. Anche se questa affermazione potrebbe sembrare a prima vista riduttiva nei suoi confronti è, in verità, una promessa di fedeltà. Quando Isaac B. Singer, nel suo discorso per il Nobel dichiarò che la prima responsabilità dello scrittore era di essere un narratore di storie, non disse un “mero narratore di storie” e Schulz non intendeva “far solamente ridere la gente”. Era fedele al lettore che voleva qualcosa di buffo nella pagina dei fumetti.

Ognuno dei suoi straordinari personaggi lotta, in maniera diversa, con un'inadeguatezza suprema rispetto ai ruoli che vorrebbe interpretare, ma l'ironia contenuta in quel senso di inadeguatezza sembra riscattarlo, anche se solo in parte e comunque per la durata di una striscia.

Se quei personaggi fossero cresciuti avrebbero definitivamente perso questo tratto, che li tiene in vita anche dopo la morte del loro autore avvenuta nel 2000, avendo avuto in quelle quasi 18.000 strisce il solo loro sviluppo possibile.

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