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Una penna per gli under 18
da Quaderni di didattica della scrittura, numero 1, pp.61.72.
Carocci, Bari 2004
La trama, il gioco, la suspence sono da sempre i denominatori comuni delle storie ideate per i/dai giovani. Gli altri elementi della narrazione verranno con il tempo, arricchendo il mestiere di leggere.

A questo proposito, c'è una pagina di Forster1 che ho spesso riletto, sulle radici della narrazione:

Già l'uomo di Neanderthal ascoltava storie, a giudicare dalla forma del suo cranio. L'uditorio primitivo era un uditorio di teste arruffate, raccolto a bocca aperta intorno a un falò da campo, sfinito dalla lotta contro i mammuth o i rinoceronti lanosi, e tenuto sveglio soltanto dalla suspense. E poi che sarebbe successo? Il romanziere continuava a parlare con il suo tono monotono e il pubblico, non appena indovinava che cosa sarebbe successo in seguito, si addormentava o lo uccideva. I pericoli che i narratori correvano possiamo valutarli pensando alla carriera di Sharazade, in epoca alquanto posteriore. Sharazade evitò íl suo destino perché seppe maneggiare l'arma della suspense: l'unico strumento letterario che abbia qualche effetto su tiranni e selvaggi. Per quanto fosse un grande romanziere, squisita nelle descrizioni, tollerante nei giudizi, ingegnosa negli episodi, moderna nella morale, efficace nel disegno dei personagi, con una conoscenza approfondita di tre capitali d'Oriente, non si affidò a nessuna di queste doti per tentare di sottrarsi alla condanna del suo insopportabile marito. Quelle doti non erano che accessori, e sopravvisse soltanto perché seppe mantenere il re in una condizione di dubbio circa quello che sarebbe successo poi. Ogni volta che vedeva sorgere il sole si fermava a metà di una frase, lasciandolo a bocca aperta. «In quel momento Sharazade vide spuntare l’alba e, discreta, tacque.» Questa piccola frase senza interesse è la spina dorsale delle Mille e una notte, la tenia da cui sono legate insieme le pagine di quel libro, e grazie alla quale la vita di una principessa piena di risorse fu risparmiata.

Ecco che la necessità vitale di inventare storie appartiene alle diverse età dell uomo, come anche all'uomo di età diverse, storie che pretendono anzi prevedono la partecipazione altrettanto vitale di chi ascolta o legge, storie in cui - com'è detto nelle Mille e una notte - sarà la salvezza.

Si è perfino parlato di un diritto alla narrazione perché con i racconti e con i racconti della nostra vita si costruiscono l'appartenenza e l'identità. Infatti, secondo J.S. Bruner, «la competenza nella costruzione e nella comprensione di racconti è essenziale per la costruzione della nostra vita e per crearci un posto nel mondo possibile che incontreremo».

In questa rappresentazione dell'educazione come luogo di narrazioni scopriamo un'altra funzione essenziale della narrazione, quella cognitiva.

Eppure C’era una volta, l'inizio di ogni fiaba, è una soglia che conduce in un tempo e in uno spazio diversi da ogni altro tempo e spazio della nostra vita, la stessa soglia rappresentata dallo specchio di Alice. Come fa l'allontanamento, se non la vera e propria evasione, dalla realtà ad assumere una funzione cognitiva?

Che senso ha inventare storie fiabesche, collocate in una dimensione diversa dalla realtà?

La risposta è semplice: l'evasione dalla realtà quotidiana non significa quasi mai allontanamento da una riflessione su di essa. Una risposta più complessa è quella che l'umanità si è sempre raccontata e tramandata anche attraverso storie che includevano miti e metafore posti in una sfera esemplare.

Ecco perché narrare è una funzione del conoscere, comprende un principio d'indagine ed è perciò legato, in maniera particolare, al mondo dei giovani, a quella dimensione in cui, a scuola e fuori da essa, si affrontano i viaggi nella costellazione dei saperi.

Coloro che hanno scritto per un pubblico giovane formano una “famiglia” corrispondente ad un “genere”, ormai classico, che inaugurò la storia della letteratura moderna per giovani. Dal Robinson Crusoe di De Foe, ai racconti di H.C. Andersen, a Stevenson, Kipling, Verne, London, Twain, ecc. La letteratura italiana dell'Ottocento, particolarmente, offrì tre notevoli autori, Collodi, De Amicis e Salgari, espressione di tre tipi di narrazione diversi ma complementari. Tra le loro opere, quella più innovatíva è senza dubbio Pinocchio, con il suo aspetto fortemente connotativo, uno dei primi romanzi moderni con almeno due punti di vista (due letture): romanzo per adulti e fiaba per bambini. Un romanzo così colto da suscitare letture filosofico-teologiche e socio-antropologiche (la bibliografia è vastissima: da Manganelli a Tommasi, a Biffi, ed altri). Un romanzo così popolare e dalla struttura così aperta da provocare la prima sfida cinematografica già nel 1911, quella creativamente “libera” di A.G. Antamoro2.

Oggi non è facile per uno scrittore per adulti vestire i panni dello scrittore per l'infanzia o per i giovani. Perché si è abituati ad un'altra scrittura, ma soprattutto perché il mondo dell'infanzia di oggi cambia più rapidamente di quello di cento anni fa. Non è facile essere aggiornati sui mutevoli miti, giochi e linguaggi delle nuove generazioni. Segnatamente è difficile (anche per gli psicologi) comprendere lo spettro percettivo che un bambino/ragazzo ha del mondo e che gli arriva attraverso i media, l'elettronica, per non parlare delle “rivoluzioni” private familiari e sociali (disoccupazione, emigrazione, nuove povertà, separazioni ecc.).

Una soluzione narrativa valida è trasportare un problema sociale sentito dai bambini nel mondo della fiaba, rinnovandola. È la strada percorsa dalla Bella addormentata di Tahar Ben Jelloun3. Qui l’autore usa un linguaggio comprensibile ad un pubblico giovane raccontando un classico (La bella addormentata, per l'appunto) in versione antirazzista (la fanciulla è nera, e la madre del principe che l’ha svegliata non la vuole). Vi sono, ovviamente, anche riferimenti colti alla letteratura mondiale classica che il fanciullo non raccoglie razionalmente ma che ha sicuramente acquisito nel suo immaginario grazie al cinema. Come la soluzione biblica del tentatívo di “assassinio” dei nipotini da parte della regina madre:

Così la nonna era libera e sola. Quando con la sua barca fu al largo, chiese al suo aiutante di calare in acqua il canotto di salvataggio. L'uomo eseguì l'ordine senza discutere. La donna mise i due bambini nel canotto e se ne andò. La nonna entrò a palazzo tutta bagnata, piangendo e prendendosi a schiaffi. « O mio Dio! Che tragedia! I bambini sono stati travolti da un'onda terribile; siamo naufragati, io ho nuotato, poi una barca che passava di lì mi ha salvata».

Ben Jelloun, autore per adulti, dunque, nell'esordire per un target diverso non rinuncia alla “cultura” del testo che nasconde ad un “secondo grado”, ma si fa “comprensibile” adottando stilisticamente un linguaggio “discorsivo”, in alcuni passaggi volutamente elementare, con una sintassi addirittura prevedibile dove il soggetto della frase è ripetuto quasi ad ogni passo; inoltre adotta frasi brevi legate in uno stile tendenzialmente paratattico.

Un altro autore dei nostri giorni che si rivolge, contemporaneamente, agli adulti e ai giovani mescolando mirabilmente lo stile, tra discorsivo-popolare e allusioni colte, è il francese Daniel Pennac. In Come un romanzo (1993), racconto-saggio, egli ci dà l’esempio di una scrittura nuova, tipicamente novecentesca4:

Resta il problema del ragazzo su, nella sua stanza.
Anche lui avrebbe bisogno di essere riconciliato con “i libri”!
Casa vuota, genitori a letto, televisore spento, eccolo dunque solo...davanti alla pagina 48.
È la “scheda di lettura” da consegnare domani...
Domani...
Breve calcolo mentale:
446 - 48 = 398.
Trecentonovantotto pagine da sciropparsí durante la notte.
Riattacca a leggere. Una pagina spinge l'altra, Le parole del "libro" danzano fra gli auricolari del walkman. Senza gioia. Le parole hanno piedi di piombo. Cadono le une dopo le altre, come cavalli che ricevono il colpo di grazia. Neanche l'assolo di batteria riesce a farle resuscitare. (Con tutto che i Guns n’ Roses hanno un gran batterista!) Prosegue la lettura senza voltarsi a guardare i cadaveri delle parole. Le parole hanno reso il senso, pace alle loro lettere. Ma questa ecatombe non lo spaventa. Legge come si avanza, spinto dal dovere.
Pagina 61, pagina 63.
Legge.
Cosa legge?
La storia di Emma Bovary.
La storia di una ragazza che aveva letto molto:
Lei aveva letto Paolo e Virginia e aveva sognato la casetta di bambù il negro Domingo, il cane Fido, ma soprattutto la dolce amicizia di un affettuoso fratellino capace di andare a cercarti rossi frutti su alberi più alti di campanili di correrti incontro a piedi nudi sulla sabbia recando in dono un nido di uccello.
La cosa migliore è telefonare a Thierry o a Stephanie per farsi passare la loro scheda di lettura. Domattina la copierà in fretta prima di rientrare in classe, senza farsi vedere da nessuno. In fondo, glielo devono5.


La scrittura di Pennac ci permette di fare qualche osservazione sulla ibri- dazione di linguaggi, generi e stili diversi. Egli non solo alterna fiction e saggio, ma lega insieme due codici artistici: l'enunciazione cinematografica (o audio-visuale in genere) e l'enunciazione letteraria. Per cui la forma del testo è somigliante a quella di una sceneggiatura con frequenti “a capo” e descrizioni di situazioni d’ ambiente6. Lo scrittore fonde un linguaggio giovanile (in traduzione si propone un «pagine da sciropparsi» ) con un andamento poetico-filosofico, fortemente metaforizzato, che ricorda l'ermetismo (Ungaretti) e il surrealismo (Desnos, Peret) con frasi- versi quali «parole dai piedi di piombo» e, più avanti, «i cadaveri delle parole». Infine egli non rinunzia, seppur nel saggio, ad un gioco funzionale intrigante: quello di costruire una struttura en abime intorno al piacere/dispiacere della lettura: lo studente che legge qualcuna che leggeva. Inoltre non va dimenticato che Pennac esibisce un' ottima conoscenza della " enciclopedia" giovanile: sa che il gruppo dei Guns n' Roses era, negli anni Novanta (ma lo è anche anche oggi), uno dei più ascoltati tra gli adolescenti.

Un altro autore per adulti, che recentemente ha esordito nella letteratura per l'infanzia, è Roddy Doyle (al quale dobbiamo un noto romanzo dedicato al mondo giovanile, The Committements, amato dal largo pubblico nella sua celebre trasposizione cinematografica ad opera di A. Parker, nel 1991) Il suo primo libro dedicato ai lettori più piccoli è Il trattamento Ridarelli. In questo breve testo Doyle ha innestato nel linguaggio letterario alcuni codici cinematografici, al fine di rinnovare il procedere narrativo.

Quattro passi, tre passi, due passi.
Il signor Mack ne aveva avuto abbastanza del gabbiano. Stava per voltarsi, in tempo per vedere la cacca, ma il gabbiano gli parlò di nuovo.
«Pesce» disse il gabbiano. «Non voglio neanche sentirne parlare del pesce.»
Quattro passi, tre passi, due passi, uno.
Il piede sinistro del signor Mack era sospeso sopra la cacca del cane, la suola della sua scarpa si trovava esattamente a quarantadue centimetri dalla cima della cacca.
A1 signor Mack parve di sentire delle risatine. Così:
«Hi, hi, hi, hi».
La cacca era al centro del marciapiede. Il marciapiede era accanto al muro del giardino. E dall'altro lato, nascosti dietro il muro, c'erano i Ridarelli7.


Il fermare la scarpa e il piede del protagonista ad una certa altezza dalla cacca è un evidente prestito dal codice cinematografico del “fermo-fotogramma”. Ciò consente all’ autore di guadagnare almeno due tipi di “arricchimento” diegetico: accrescere la suspence e, al contempo, inserire altre piste sub-narrative all’interno di quella principale (che rimane l'attesa dello schiacciamento della cacca).

In realtà, la soluzione narrativa del punto di vista dell'adulto che assume il punto di vista del bambino o del ragazzo, normalmente, è presente in tutta la narrativa per l’infanzia. O sarebbe meglio affermare che in ogni testo indirizzato ad un “pubblico piccolo” l'autore “deve”, almeno in minima percentuale, di volta in volta, assumere il punto di vista del Destinatario. Niente di nuovo, accade anche per la letteratura maggiore: l'adulto assume il punto di vista dei diversi personaggi. Ma, ricordiamo, per la letteratura dell’infanzia il problema si gioca sul piano della credibilità, dato che l'adulto deve “conoscere” e “far suo” un mondo, quello della preadolescenza/adolescenza, in continuo cambiamento. E quando, per diverse ragioni, non può?

In questo caso egli può lavorare su quello che potremmo definire il “racconto storico-memoriale” Nessuno gli vieta di trasporre una storia del/nel proprio mondo preadolescenziale, che ogni autore comunque possiede. Con un tratto distintivo necessario, quello dell'universalità di alcuni temi, su cui torneremo tra poco. Una felice soluzione narrativa di tale “sottogenere” è Quando imparai a addomesticare i ragni di Butta Richter:

Era cominciato quando l'estate era ancora giovane, verde e infinita.
Era cominciato quando la nostra cantina era abitata dal Gatto delle cantine.
Aveva occhi di fuoco ed era grosso come una pantera.
Se ne stava acquattato in fondo alla cantina, sul vecchio letto, accanto alle casse di birra di papà. Ed era sempre lì.
«Non dire stupidaggini!» dicevano i grandi. Oppure dicevano: «Tu e le tue fantasíe!»8.


Richter opera su due versanti. Da un lato fa rivivere gli anni della sua infanzia con i giochi, le atmosfere di quartiere, gli odori, i tipi di lavoro degli adulti, i “riti” (la cena, il funerale ecc.), collocabili in un determinato tempo storico (gli anni Sessanta); dall'altro mette in circolo dei motivi perenni: le paure dei bambini, il loro mondo fittizio, le gelosie nei giochi, i giuramenti, il "coraggioso", il "fifone" ecc. Sul versante stilistico l'autrice fa ricorso a forme linguistiche tipiche della narrativa per l'infanzia, come per esempio la ripetizione anaforica. Addirittura si permette delle ripetizioni che in altro contesto potrebbero risultare cacofoniche («dicevano») ma in ciò consiste il taglio realistico del linguaggio che si contrappone, generando un contrasto voluto, ad una vicenda invece giocata abilmente sul piano del fantastico (del resto sappiamo che l'imitazione del linguaggio verbale di una bambina che ancora non padroneggia, sul piano lessicale, la selezione-combinazione9, è una tecnica delicata che, se abusata, può generare un senso di inautentico).

Meno “letterari” sono i romanzi di Ann M. Martin della serie ”Il Club delle baby-sitter” che stanno al testo della Richter come un dignitoso serial televisivo sta ad un film d'autore. Anche qui si predilige la prima persona e il punto di vista è ovviamente quello del personaggio che racconta e vive “insieme” ai suoi coetanei le “strane” vicende quotidiane che accadono “normalmente”:

Mi chiamo Mallory Pike, ho undici anni e sono la maggiore di otto fratelli...
Avete sentito bene, siamo proprio otto! Ci sono tre gemelli (Byron, Adam e Jordan) che hanno dieci anni, Vanesse che ne ha nove, Nicky otto, Margo sette e Claire cinque. Aggiungete i nostri genitori, e capirete che la casa in cui viviamo è piuttosto affollata!
Tutti i miei fratelli hanno i capelli castaní e gli occhi azzurri: sono l'unica ad avere i capelli rossi e ricci, e anche l’unica con l’apparecchio ai denti (la solita fortunata!). Inoltre devo portare gli occhiali.


Sin dalle prime righe la Martin10 fa dichiarare i dati anagrafico-identitari completi al personaggio principale, il quale, a sua volta, presenta quelli secondari: siamo nel racconto classico. Lo stile, per consentire al giovane lettore una identificazione, ammicca ad una scrittura “da diario” di una ragazzina di dieci anni. Di “mimetico”, però, la scrittura conserva solo i tratti periferici ritenuti dalla Martin “essenziali” e “distintivi” di una scrittura infantile: l’eccesso del tono esclamativo, i puntini di sospensione e l’immancabile uso della ripetizione («l’unica»); quest’ultima è quella “costante” ritenuta inevitabile da molti autori. Ovviamente i mimetismi, oltre che giustificati dal tono marcatamente diaristico, sono rafforzati da quell’inevitabile “senso della diretta”, mutuato dal linguaggio televisivo, che simili finzioni “debbono” possedere.

Per quanto concerne gli aspetti tematici, l’autrice fa ricorso alla frequente figura dell’happy end. Infatti, esso è sperimentato sotto forma di happy end particolare sin dall’inizio del romanzo nelle vicende collaterali (riguarda un personaggio di secondo piano), come soluzione accattivante e tranquillizzante, ma soprattutto come connotativa traccia prolettica di un finale, che non può non essere felice: tutti si aspettano un grande happy end generale stile Hollywood.

E un fatto incontrovertibile che dal punto di vista della tecnica narrativa le storie che si rivolgono ad un pubblico giovane scelgano sempre più di frequente la prima persona. Vi sono, ovviamente, delle eccezioni. J.K. Rowling, per la sua serie di Harry Potter, usa la terza persona. Ma, naturalmente, il narratore “scompare” dietro la focalizzazione del giovane protagonista, del quale ci vengono rivelati i pensieri:

Era come essere immersi in un sogno favoloso. Questo, pensava Harry, era certamente il modo migliore di viaggiare: tra mulinelli e torri di nuvole bianche come la neve, comodamente seduti in un’auto baciata da un sole caldo e luminoso, con un pacco di caramelle nel cassetto del cruscotto e la prospettiva di far morire d’invidia Fred e George quando fossero atterrati trionfalmente sul grande prato davanti al castello di Hogwarts.

il brano citato ci torna utile per proporre anche un’osservazione circa lo stile. La serie Harry Potter attira, incontestabilmente, anche gli adulti non solo per la trama ma anche perchè soddisfa dal punto di vista della "fattura": infatti, il suo alternare dialoghi sincopati (come nel cinema) a brani di prosa fortemente paratattica dona allo stile la dignità della letteratura classica. Ed è tipico del racconto classico il viaggio iniziatico che Harry Potter compie: il viaggio di ogni eroe-ragazzino - come hanno spiegato una volta per tutte Propp e Bettelheim analizzando la struttura del fiabesco - alla scoperta del mondo e di se stesso.

La mitologia fiabesca classica è tutta presente nell'opera della Rowling:

1. nella solitudine iniziale dell'eroe: Harry è orfano e maltrattato dai terribili parenti. Anche molti bambini dei fratelli Grimm lo sono, e il loro padl-e si è risposato con una terribile matrigna;

2. nel viaggio iniziatico di Harry, costellato da una serie di prove di sempre crescente difficoltà. Tali singole prove, come nella maggior parte dei romanzi cavallereschi, hanno lo scopo di temprare l'eroe in vista dello scontro finale con il Nemico;

3. nella figura del nemico, che rappresenta il Male. Nella saga di Harry Potter è impersonato dal potente e terrificante Vol-de-Most, l'antagonista.

Con la sfida tra il Bene e il Male entriamo nella zona più fitta di simboli del regno del Mito. Il processo di identificazione del lettore giovane è stato anche facilitato da una giusta dose di sospensione dell’incredulità: Harry Potter non si muove in un mondo totalmente magico, ma in un contesto che, di quando in quando, ha tratti di quotidianità, pur incrociando ad ogni angolo il fantastico.

Harry Potter era naturalmente destinato al cinema: basti pensare come il piccolo mago di fronte all'austero grande mago Albus Silente, somigli - fatte le debite distanze tra i generi - a Luke Skywalker di Guerre stellari, nella fondante fase dell'addestramento da parte del saggio maestro Yoda.

Peccato che l'ibridazione dei linguaggi non proceda anche all'inverso, dal cinema alla scrittura, con la nascita di una serie romanzesca di alto profilo per Guerre stellari. Anche perche il lavoro della lettura, che è l'unico esercizio per farci conquistare "il mestiere di lettore", è pressoche il solo in grado di attivare, durante gli anni del viaggio iniziatico nella realtà, il lavoro dell'immaginazione.

Gli eroi di carta, di diverso spessore, sono ancora i compagni invisibili che accompagnano i bambini e i ragazzi lungo tutti i sentieri di quel viaggio.

Invece, tornando alla tecnica della prima persona, riusciti e meritatamente acclamati dal pubblico sono i tre testi "seriali" (come appunto i prodotti televisivi) di Grande! Avete rovinato il resto della mia vita! Il 3° diario di un'adolescente e quello di sua madre (1995-1997), di Yvonne Cop- pard. L' autrice inglese adotta la tecnica del racconto in prima persona e del diario. La "novità" che ella introduce (che però ha "rubato" al Mark Twain del Diario di Adamo ed Eva11) è quella del montaggio alternato (ancora un debito cinematografico! ) di due diari: della figlia e della madre. Le due narrazioni permettono di considerare un fatto e un evento da due punti di vista, in forma contraddittoria, giocata sul piano dell'equivoco e del contrasto, così da generare un continuato e rinnovato humour (proprio come in Twain!).

7 ottobre
Quest' anno gli insegnanti non sono poi così male, a parte uno nuovo, un au- tentico cretino. Si chiama J ack J. J ackson e questo fa capire che anche i suoi genitori dovevano essere poco intelligenti. Porta sempre un paio di pantaloni di velluto a coste, una giacca che gli casca da tutte le parti, con toppe di cuoio ai gomiti (chissà perche, visto che è nuova) , un cravattino di pelle nera e scarpe scamosciate. [...] è americano e vuoI spacciarsi per inglese. [...] Sandra e io lo abbiamo odiato fin dal primo giorno.

8 ottobre
Quest'anno Jenny si è buttata nello studio con impegno, soprattutto per la letteratura inglese. Hanno un nuovo insegnante, un americano. L'ho incontrato all'inaugurazione dell'anno scolastico. È un tipo entusiasta, lo si vede anche da come si veste. [...] La stanza di Jenny è tappezzata di appunti e note e ho l'impressione che si stia prendendo una piccola cotta per lui12.


In effetti l'unica variante originale della Coppard, rispetto all'intuizione twainiana, riguarda l'aspetto del montaggio. Ossia i tempi e l' alternarsi dei due diari. I brani giornalieri, infatti, sono concepiti secondo la categoria della brevità13 (da mezza pagina a un massimo di due: solo una volta ne abbiamo tre) e portano come cesura le singole date (giorno e mese: ulteriore codice epitestuale che rafforza la cesura/il legame di montaggio). In questo modo i "romanzi epistolari" della Coppard evitano quelle secche di "stasi narrativa" in cui sovente incorrono anche i romanzi più frenetici.

Finora abbiamo visto come, anche nella letteratura per ragazzi, i linguaggi della narrazione si siano intrecciati e vicendevolmente arricchiti iniziando un processo di ibridazione fra la parola e l'immagine che segnerà probabilmente notevoli differenze, a distanza, con la scrittura del Novecento. C'è però, nelle storie per ragazzi, un'altra sorta di ibridazione: quella delle età dei lettori/ spettatori.

Risparmio a chi legge e a me stesso la sequenza di innumerevoli indizi che mi hanno portato a questa conclusione e che vanno dagli autori immortali per giovani e adulti (da Andersen a Stevenson, da Saint-Exupery a Tolkien), alle grandi opere di animazione, ad autori moderni - oltre i già ricordati Pennac e Rowling - che scrivono in un linguaggio bifronte, come, da ultimo, Mark Haddon e, nel racconto cinematografico, TiIn Burton. E comunque, l'incontro con la letteratura sta proprio in quei romanzi a doppia trazione per ragazzi e per adulti, il cui elenco sarebbe interminabile: dal Pinocchio di Collodi alle Avventure di Tom Saywer di Twain, da Piccole donne della Alcott al Richiamo della foresta di London alle opere di Verne, Salgari, Kipling ecc. la cui rilettura da adulti permette di scoprire i significati somnersi che non avevamo colto da ragazzi.

Il motivo di questa lunga traiettoria di una storia che, lanciata da un adulto, cade tra le mani di un ragazzo e rimbalza ( o viene rilanciata? ) verso l'alto non risiede soltanto, però, nella necessità di una rilettura nelle varie stagioni della vita -L'isola del Tesoro va letta almeno nelle tre età dell'uomo -, ma si trova proprio nella struttura delle favole e dei romanzi d' avventura e nella solidità e universalità di alcuni personaggi immaginari «portatori di un destino in cui ognuno può intravedere qualcosa del proprio».

La storia per ragazzi che, rimbalzando, ci ritorna tra le mani, non è un connotato dei nostri tempi, ma, certo, nei nostri tempi il palleggio si è intensificato. È un campo d'indagine socio-letteraria e psico-mediale tutto da esplorare: l'homo videns ha lo stesso bisogno di storie del ragazzo, anzi, ha bisogno di storie con la stessa struttura?

Forse il problema non risiede soltanto nella prevalenza dei linguaggi che si sono affermati ma nella maggiore complessità delle condizioni esistenziali: i riti iniziatici non sembrano terminare più con l'adolescenza, ma si ripropongono con il mutamento dei contesti che l'adulto è costretto ad affrontare lungo tutto l'arco della vita. Così come accade per la formazione, che deve svilupparsi con una traiettoria ben più lunga rispetto al recente passato.

Colpa o merito della flessibilità del lavoro, dell'instabilità dei contesti, o più semplicemente della precocizzazione da un lato e della sindrome di Peter pan dall’altro?

Largo agli esploratori di questi nuovi territori!



Note
1. Cfr. E.M. Forster, Aspetti del romanzo, Garzanti, Milano z99z, pp. 4o-I.

2. I motivi “liberi” inseriti nel plot del film Pinocchio (1911) ad opera di Antamoro, a tutt'oggi la riduzione più “infedele” del celebre romanzo collodiano, sono sorprendenti. Si va dalla cattura di Pinocchio (è l'attore Polidor) da parte degli indiani d'America, alla successiva liberazione ad opera dai soldati canadesi (sic!) sino al viaggio di ritorno a casa a cavalcioni su una palla di cannone. Si rimanda a tal proposito a E. Ciccotti, Pinocchio dalla letteratura al cinema alla televisione, in “Campi immaginabili”, Pellegrini, Cosenza 2001, pp. 119-42

3. T. Ben Jelloun, La bella addormentata, tr. it. di A.M. Lorusso, Fabbri, Milano 2003, pp. 82-3.

4. È ormai incontrovertibile che la scrittura del secolo xx sia diversa da quella che l'ha preceduta per due specifici che la caratterizzano: il punto di vista e il montaggio. Se per Genette è il Proust della Recherche colui che va coscientemente “avanti e indietro nel tempo della narrazione” (cfr. G. Genette, Figure III, Einaudi, Torino 1976 [Paris 1972]) presentando al lettore “analessi” (andare all'indietro nel tempo: nel cinema saranno i flashbach), “prolessi” (anticipare un’azione futura: nel cinema saranno i flashforward) e “sommari” (riassunti dei fatti accaduti ad opera di un protagonista-narratario), crediamo che la “rivoluzione narrativa” sia arrivata anche attraverso il cinema degli anni Dieci e Venti. Si iniziano molto presto a percepire, nella scrittura, delle costruzioni narrative mutuate dal cinema, come il procedere a volte sincopato ed ellittico della narrazione o la mobilità del punto di vista.

5. D. Pennac, Come un romanzo,(1993), tr. It. Di Y.melaouah, Feltrinelli, Milano 2003, pp.51-52.

6. Anche la letteratura per ragazzi non è immune da quella sorta di contaminazione tra il inguaggio letterario e quello cinematografico che ha interessato la scrittura del Novecento.

7. R. DovLe, Il trattamento Ridarelli, tr, it. di G. Zeuli, Salani, Milano 2002, pp. 13-4.

8. J. Ricbter, Quando imparai a addomesticare i ragni, tr. it. di A. Peroni, Salani, Milano 2oo3, p. 10.

9. La selezíone-combinazione nella costruzione della frase fu studiata dal linguista russo Jakobson sin dal suo periodo praghese. Cfr. R. Jakobson, Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, Milano 1972, pp. 44-9.

10. A.M. Martin, Mallory e il cavallo dei sogni, tr. it. di M. Impallomeni, Mondadori, Milano 2003, pp. 3-4.

11. M. Twain, Il diario di Adamo ed Eva, Stampa alternativa, Roma 1999.

12. Y. Coppard, Grande! Avete rovinato il resto della mia vita! Il 3°diario di un'adolescente e quello di sua madre, adattamento di A. Orsi, Mondadori, Milano 1997, pp. 4-5.

13. Sulla categoria della "brevità" cfr. G. Genette, Palinsesti, Einaudi, Torino 1992

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