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Innocente per forza
Fase due
Lo spiazzo dietro il villino era completamente al buio. Il Cinese e il Ladro stavano trasportando una pesante scrivania quando arrivò la Citroèn bianca.

I due della Croce Rossa dietro erano incappucciati.

«E voi eravate quelli che dovevano dare una mano a scaricare», disse il Cinese, nervoso.

«Ci sono stati dei contrattempi con questi due disgraziati» spiegò lo Scrittore. Il Ladro sospirò e trascinò la scrivania fino sul pianerottolo del villino.

Il Piromane guardò dentro al furgone. «Avete quasi finito. C'era abbastanza?»

«Sì», disse il Cinese, «scaffalature, quattro scrivanie, un tavolino, tre computer e due stampanti da museo dell’informatica, sedie, poltroncine, un divanetto verde di plastica, sgangherato. E una stampa tutta tarlata di San Michele che schiaccia la testa del demonio»

«E i fascicoli? I fascicoli sono importantissimi, eh»

«Quanti ne vuoi. Ce n'è pure qualcuno del Ministero degli Interni. Tutta carta vecchia e puzzolente, però».

«E a noi pure quello ce serve, l'odore di un ufficio», intervenne lo Scrittore, «non potevamo mettere mobili nuovi e carta nuova, se devi falsificare una cosa la devi pure invecchiare». Si guardò intorno. «Mio figlio perché non sta con voi?»

«Stasera doveva andare in discoteca, s'era impegnato con una...»

“Ma come”, sbottò lo Scrittore, «stiamo a preparate un colpo che per lo meno ci frutterà un cento bilioni e quello va a ballà ». Scosse la testa. «Non c'è più serietà. Il privato, il privato, sempre più il riflusso nel privato».

«Va bene», tagliò corto il Piromane, «togliamoci di torno quei due nella macchina e il camion. Tu, Cinese, lo guidi fino sotto Cesano, io ti vengo dietro con la macchina e i due tonti incappucciati nel bagagliaio. Poi li carichiamo sul camion e ce ne ritorniamo qua».

Guardò il Ladro che stava scaricando tre vecchi estintori. «No, no, quelli no, lasciali pure dentro. Non ci servono».

Il Ladro si asciugò il sudore preoccupato «Certo che i due autisti domani ce denunciano».

«E che denunciano il furto de tre tavoli vecchi e d'un po' de monnezza? E poi che voi fa, li voi ammazzà?. . . »

Era la mattina del 15 agosto umida ma piena di luce. Parcheggiando la Panda con i colori della polizia, guardai un'ultima volta, da borghese il villino abbandonato: faceva uno strano effetto tra gli aerodinamici palazzi che lo sovrastavano. Basso, a due piani, con l'intonaco verde muschio, un aspetto da revenant, sembrava interamente ricoperto da una grande macchia di umidità. Era l'unica costruzione d'epoca in mezzo a un quartiere completamente moderno: quello della Serpentara.

Appena dieci anni prima quella zona nell'estrema periferia nord ovest di Roma era soltanto campagna: affossamenti e marrane, unici abitanti le bisce dell'Aniene e i serpenti.

Poi un muro di palazzi di otto dieci piani su un fronte di un paio di chilometri cominciò ad avanzare mese dopo mese. Fino a quando le gru e le ruspe occuparono l'intero territorio della Serpentara.

Chiusi la portiera dell'auto senza innestare l'antifurto. Mi avvicinai al portoncino d'ingresso di quella costruzione sopravvissuta, con la sensazione di superare con la soglia un punto di non ritorno. Giocavo con quest'ultima carta tutto me stesso, quell'uomo che la scuola e le istituzioni avevano voluto bocciare. In questa estrema chance coinvolgevo anche l'unica mia speranza d'immortalità: mio figlio.

Ma il problema in fondo si riduceva a questo: poteva reggere per il tempo necessario al colpo la montatura poliziesca di cinque personaggi anarchicamente disperati? E quanto era lungo il tempo necessario al colpo? Quando gli abitanti del quartiere fossero tornati dalle vacanze estive, le scuole riaperte, i vigili urbani avessero ripreso con le multe, che avrebbero fatto i cinque di cui sopra?

«Oh! La targa di fuori, mica la posso montare da solo, questa pesa»

«Papà, invece di scrivere il tuo diario, vacci tu a daje una mano, che io finisco qua con le scrivanie».

Il maresciallo Frassineti ripose nella tasca della divisa il suo taccuino, sospirò e andò a raggiungere il Ladro che aveva accostato al muro esterno del villino una pesante targa di metallo.

Nello stanzone d'ingresso Mandrake aveva sistemato tre scrivanie. In mezzo una scaffalatura metallica ancora vuota divideva l'ambiente, tre altre scaffalature più piccole ancora da montare, erano appoggiate al muro dietro le scrivanie.

“L’hai sentiti?” Gli chiese il Cinese

“Chi?”

“I topi, giù in cantina, a me non me fregano ne ho visti tanti in vita mia. Fanno un rumore impercettibile come qualcuno che cammina di nascosto.”

“Si, forse hai ragione - si grattò la testa Mandrake - qualche scricchiolio me pare d’avello sentito, ma non ho ancora fatto a tempo a scende giù in cantina.”

“Ci si potrebbe organizzà le camere di sicurezza” propose il Cinese mentre stava armeggiando con un apparecchio telefonico vicino alla finestra.

«Scusa, Cinese, ma come fa a funzionare st'apparecchio?»

«Non so' cinese», si lamentò. «Qui le cose erano due: o sui tavoli mettevamo i telefoni Chicco oppure potevo fare come ho fatto. Disattivare la cabina telefonica in fondo alla strada, collegarmi a quella linea e portare il numero fino a qui. Tu le hai messe le targhette coi nomi?»

«Sì, il Piromane è il commissario Justerini, papà il maresciallo Frassineti», disse indicando le targhette di plastica sul tavolo, «io sono l'appuntato Trocadero e il Ladro è il brigadiere Pedersolo. Manchi solo tu, come te voi chiamà?»

Il Cinese finì di riavvitare il disco combinatore dell'apparecchio e guardò Mandrake. «Ho chi minh non va bene, vero?»

«Senti, Cinese», lo interruppe il maresciallo Frassineti rientrando nello stanzone, «m'è venuta in mente una cosa...»

«Non so' cinese...»

«Se a uno di questi gioiellieri della Serpentara, o alla succursale della banca gli salta in testa di collegare i sistemi di sicurezza col nuovo commissariato del quartiere, noi che facciamo?»

«Anzi il Piromane ci conta su questo», rispose il gigante Pedersolo «vedrai che anche qualche proprietario di appartamento vorrà collegarsi, ma a noi interessa soltanto l'albero della cuccagna...»

«Non è una cosa difficile», rispose il Cinese, «ci facciamo aiutare dalle ditte specializzate che li hanno installati, non lo dobbiamo mica fare noi che siamo agenti di pubblica sicurezza».

«Cinese, senti, ti devi rassegnare, è inutile che ci provi e dici noi, noi. Ci aiuterai con il colpo, la quinta parte del bottino è tua, però tu la divisa dell'agente non la puoi mettere. Perché sarai pure vietnamita, però ciai l'occhi da cinese!»

Il Cinese scagliò il cacciavite per terra. «E meno male che tu eri il professore che hanno cacciato via perché era rosso. Mo' perché so' cinese non posso fare il poliziotto. Io ho preso la cittadinanza italiana!»

«Se hai la cittadinanza italiana, prova a fare la domanda e entra davvero in polizia», urlò stizzito lo Scrittore. «Noi dobbiamo essere più veri dei poliziotti veri, un poliziotto giallo dà nell'occhio, crea incertezze, sospetti...»

«Papà, ma l'hai mai visto a la televisione "Hill Street giorno e notte"! Lì l’unico bianco è il commissario, so' tutti neri, gialli, portoricani, indiani... Forse co' lui sembriamo più veri pure noi, pensa che gli è venuta l’idea de fa le camere di sicurezza giù in cantina!.

Gli altri si guardarono.

«È permesso?»

Tutti si girarono verso la porta. Una donna bruna, alta, dagli zigomi pronunciati, Inguainata in un vestito rosso era entrata nel Commissariato.

«Veramente... guardi, apriamo domani», balbettò Mandrake. La donna lo guardò stupita.

«Come apriamo domani», intervenne il Cinese avvicinandosi, «l'appuntato Trocadero voleva dire che l'inaugurazione è per domani... col questore, il vescovo... ma siamo aperti anche adesso».

«Si accomodi, signora», la invitò Pedersolo.

«Scusate comunque se sono arrivata in un momento inopportuno» iniziò la splendida donna mentre si sedeva, «ma non ne potevo proprio più mi chiamo Elga Fólgheraiter. Devo confessare un omicidio».

Lo Scrittore lentamente si lasciò cadere sulla poltroncina dietro la scrivania.

“Forse, ancora per poco, un tentato omicidio”, precisò la bruna accavallando le lunghe gambe. «Sono due mesi che sto uccidendo mio marito. Secondo i miei calcoli gli restano poche ore di vita. Ero uscita per andare in chiesa, ma poi ho visto quella targa fuori la porta e ho capito che era qui che dovevo venire. Per avere quello che mi meritavo”

«Ha fatto benissimo», la rassicurò entusiasmato Trocadero.

Il maresciallo Frassineti indicò al Ladro il p.c. su un tavolinetto.

«Brigadiere, raccolga la deposizione. E lei, signora, stia calma, si distenda e ci racconti tutto dall'inizio».

«Io sono per un'alimentazione assolutamente priva di veleni, e provo sconforto», sospirò la donna, «al solo pensare che milioni di persone non suppongono neanche che giornalmente ingeriscono e somministrano ai loro congiunti un'infinità dì agenti cancerogeni a colazione, a pranzo e a cena».

«Piano, signora», la fermò il Ladro, che tentava di far funzionare un vecchio computer impolverato.

«Quando ho scoperto che mio marito mi tradiva con sua sorella»

«Scusi, signora, può ripetere?», la interruppe il Ladro, interessato.

«Con sua sorella, una persona sgradevole, credetemi, che mangia solo porcherie in questi ristorantacci romani... beh, allora è stato troppo. E ho premeditato di avvelenarlo».

«Arsenico?»

«No».

«Acqua tofana? Antimonio?», s'informò il Cinese.

«No. Mercurio, nitriti, nitrati, anidride solforosa, glutammati, benzolo, clorulo di vinile e così via. Tutti veleni che sono presenti nel pesce surgelato, nei cibi precotti, nei salumi, praticamente in tutto quello che si trova nei supermercati». Mandrake deglutì e si passò una mano sulla fronte.

«Non ho capito bene, signora», intervenne il maresciallo Frassineti. «Lei metteva questi veleni nei cibi che dava a suo marito?»

«Che bisogno c'era di metterli, già ci sono! Per esempio ieri gli ho dato un analcolico colorato con E 102, E 110, E 124, E 131. Vino all'anidride solforosa, antipasto di prosciutto e salame con nitriti, carne coi nitrati, verdura in scatola con butilidrossitoluolo, formaggio ai polifosfati. Da sei mesi si è ammalato di calcoli renali, ha un'ulcera duodenale, accusa spesso mal di testa, vomita, è stitico, prima gli davo tutti i giorni la crusca, ma dopo quello che ha fatto gliel'ho sospesa, insomma l'organismo è irrimediabilmente corroso.. E voi non mi avreste mai potuta incriminare».

Il Maresciallo non riuscì ad interromperla.

«Questo senza contare che avrei potuto anche accelerare la sua morte con i biscotti a colazione, c'è il gallato di ottile, non so se mi spiego, e le patate. Avrei potuto rifilargli quelle trattate con cobalto 60 o cesio 137».

«Ma perché, signora», riuscì finalmente a dire il maresciallo, «si è decisa a confessare il suo piano?»

«Neanche mio marito, con tutto quello che ha fatto, merita di morire mangiando purée in polvere, hamburger e pane in cassetta. Neanche una bestia può morire così, hanno ragione i buddisti. Lei che è un orientale, cinese vero?, mi potrà capire certamente». Gli sorrise scoprendo i denti bianchissimi. «Io adoro i cinesi».

«La mia famiglia è originaria di Pechino...», s'affrettò a precisare il vietnamita con gli occhi che gli splendevano.

Il maresciallo e il Ladro lo guardarono disgustati. Il computer continuò a singhiozzare fino a quando non intervennero i singulti di una vecchia stampante.

«Signora, deve firmare la confessione, se vuol rileggere... », fece il Ladro porgendole il foglio.

«Fermo!», ordinò il maresciallo, respirò profondamente e continuò. «Ci sono dei momenti nella vita di una istituzione in cui bisogna saper tracciare la linea di confine tra ciò che è giusto e ciò che è legale. I1 suo primo impulso stamattina era quello di recarsi in una chiesa. Bene, il poliziotto è anche un prete, guai se non lo fosse, se opponesse alla varietà dei moti dell'animo degli amministrati solo l'aridità del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza».

Toccò un volumetto rilegato in nero all'angolo della scrivania.

«Ci sono dei momenti nella vita di un poliziotto in cui il fardello delle altrui pene e delle altrui malvagità non sarebbe sopportabile se quella spada, indicò sul muro il quadro di San Michele che schiacciava la testa del diavolo quella spada di giustizia, non fosse impugnata da una mano angelica».

La signora Folgheraiter lo guardava rapita.

Il maresciallo Frassineti strappò il foglio dalle mani del Ladro e lo accartocciò.

«A costo di risponderne davanti al mio commissario, il primo atto di questo ufficio sarà un atto di perdono, un atto di giustizia».

Il Cinese applaudì. Il Ladro seguì con gli occhi la pallottola di carta finire nel cestino. «Ma veramente... il mio delitto...»

«Niente ma. Per penitenza lei dovrà guarire suo marito, dovrà tornare alla cucina macrobiotica e ogni settimana dovrà rendermi conto dello stato di salute. Sono anch'io un salutista e secondo me c'è ancora margine per salvarlo, la natura è più forte delle perversità umane. Signora Elga posso chiamarla così, vero? lei uscirà di qui non per dare morte ma per dare vita, ed ha già cominciato a farlo. Con noi. Con la sua sincerità e con la sua bellezza lei è entrata qui, ha trovato tre poliziotti e li ha fatti diventare tre uomini!»

«Oppure», commentò Pedersolo a bassa voce, «ha trovato tre uomini e li ha fatti diventare tre poliziotti!»

La porta si spalancò ed entrò il Commissario Justerini

“Approvo incondizionatamente l’operato dello scritt... di Frassineti, se ne torni da suo marito.” Intimò.

“Non posso...”

“Perché?” chiesero tutti all’unisono

“Perché è scomparso, ve l’ho detto, gli restano poche ore di vita, deve essersene reso conto e ha certo scelto di andare a morire lontano da me, silenziosamente e privatamente, com’è nel suo stile.”

Il piromane si torceva le mani nervosamente “E noi dove potremmo trovarlo?”

La Folgheraiter chinò la testa con l’espressione di lutto sul volto “Nel solo posto dove può essere finito con tutto il veleno che gli ho somministrato... alla Morgue!”

Tutti la guardarono prima preoccupati poi indispettiti: l’autodenunciante stava indicando alla polizia che cosa si doveva fare, ma come fare quello che si doveva fare?

“Se po’ fa’!” Ruppe il silenzio il Ladro, fu come se nella stanza fosse scoppiata una granata al fosforo, illuminando i volti stupefatti dei finti poliziotti.

Fase tre
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