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A scuola di Giallo
La Città e il suo Doppio di Loris Rambelli
in Serpentara P.S., La Nuova Italia, 1993

La prima cosa che mi piacque del romanzo poliziesco di Luigi Calcerano e Giuseppe Fiori, L'innocenza del serpente (1987), fu la copertina; o meglio il riquadro di copertina, con la piccola stampa in bianco e nero messa in risalto dall'ampio margine verde che le fa da passe-partout. Vi è raffigurata l'Isola Tiberina in forma di nave: le fiancate alte e ricurve, l'obelisco, al centro, fra il Tempio di Esculapio e quello di Giove Licaonio, e gli ormeggi dei ponti Fabricio e Cestio, sotto le cui arcate si infittisce il tratteggio che simula la corrente del fiume. Passando, quasi furtivamente, dall'illustrazione all'incipit, non restai deluso.

L'isola aveva la forma di un barcone, una chiatta enorme galleggiante in mezzo al Tevere e alla città1.

Un'isola è un po' una camera chiusa. Un luogo classico del giallo che fa piacere ritrovare di tanto in tanto. Il piacere aumenta, poi, nel corso della lettura quando, seguendo il commissario Martini che scende per una scala tortuosa e buia, possiamo esplorare anche il sottosuolo dell'isola. Camera chiusa dentro la camera chiusa.

Un altro po' e siamo arrivati nella cripta. Era il luogo di riunione dei Sacroni e di lì partiva un passaggio scavato nella roccia che portava nella cripta della chiesa di San Bartolomeo2.

Una rapida ispezione della Roma sotterranea è riproposta dagli stessi autori nel romanzo poliziesco per ragazzi A scuola di giallo (1988). Qui alcuni studenti liceali, guidati da un tecnico della SIP, si calano in un tombino e percorrono un tratto della rete fognaria che si dirama sotto la città.

Siamo passati tra il Colosseo e la Domus Aurea di Nerone [...], ora stiamo risalendo per lo stradone di San Giovanni, fra poco saremo sotto piazza San Giovanni in Laterano3.

Il protagonista, che racconta la storia in prima persona, attribuisce il fascino esercitato su di lui dal mondo sotterraneo alle letture dell'infanzia, di Sussi e Biribissi, cui si è aggiunta quella successiva dei Miserabili. E ci invita, quasi, a intraprendere un piccolo viaggio tra i libri. So di far torto a Calcerano e Fiori, che avrebbero forse preferito un apprezzamento dei loro intrecci molto ben costruiti, ma, se mi soffermo, invece, su certi particolari apparentemente periferici dell'ambientazione, è perché vi annetto un significato tutt'altro che trascurabile. Il giallo, infatti, presenta sempre una realtà "stratificata" e perciò l'immagine della città sepolta, sottoposta alla città solare, dice al lettore di più di una semplice indicazione topografica: è una figura, direi, portatrice del tema fondamentale del genere, perché dà forma concreta a quella specie di doppia prospettiva fra ciò che appare e ciò che si nasconde, che costituisce la caratteristica del romanzo poliziesco. La città sotterranea che si snoda in profondità è complementare all'altra che si erge in altezza. L'una è collegata all'altra da oscuri pertugi.

Può essere interessante ricordare che questo modello urbanistico si trova, già felicemente impostato, in un testo delle origini, o quasi, del giallo italiano; ed è Todi, nella fattispecie, con torri medioevali e gallerie etrusche, a offrire uno dei primi esempi di città suddivisa in due ordini e percorribile su entrambi i piani della sua giacitura.

Sul piazzale della Rocca, di buon mattino, una di quelle mattine umbre fatte di alti e composti silenzi, due uomini stanno passeggiando e dialogando: uno è il pretore di Todi, l'altro è il procuratore del re.

«Perché lei saprà [sta spiegando il primo] che sotto questa piazza ne esiste un'altra uguale, tutta a grandi arcate. Di qui partono molte complicate gallerie che vanno per ogni senso [...]. Immagini dunque un'altra città sotterranea, con strade a volta, strette, ma tutte comodamente praticabili»4.

Qualche tempo dopo, Alessandro Varaldo, in un romanzo in cui il commissario Bonichi rievoca la sua prima avventura, descrive le catacombe, arricchendo così di un'inquadratura nuova la serie dei paesaggi romani che restano, forse, la sola cosa viva della sua narrativa poliziesca.

Il corridoio scendeva in leggero declivio ed a mano a mano si faceva più alto di soffitto. Quasi subito potemmo camminare diritti. E si allargava, e qua e là si mostravano marmi e graffiti: il fascio di luce scopriva pesci colombe e segni di pace e rozze iscrizioni5.

Allo stesso modo di Andreuccio da Perugia, anche il poliziotto, ancora inesperto, da poco trasferito nella capitale, affronta qui la sua prova di iniziazione, in questo calarsi nelle viscere della terra per poi riemergerne fortunosamente alla prima luce del giorno in un punto imprecisato della desolata campagna romana.

Per ritrovare le catacombe di Roma, il lettore di gialli italiani (ammesso che esista una tale categoria di lettori) dovrà attendere un romanzo poliziesco di Massimo Grillandi dei primi anni Settanta. In una città profondamente mutata nell'organizzazione del crimine, rispetto a quella dei tempi di Varaldo, ma sostanzialmente identica nell'agglomerato geologico e architettonico, il commissario Éderle, sulle orme di trafficanti di droga, scoprirà passaggi segreti che si aprono nelle rovine del Foro e sotto le mura di castelli e di antichi palazzi.

La scala che conduceva sottoterra era assai viscida. Dalle pareti filtrava un umore viscoso.

Lungo la galleria, scavata nel vivo del tufo, si aprivano piccoli cunicoli con epigrafi e resti di pitture róse dal salnitro. Una rappresentava Mosè che faceva scaturire l'acqua dalla rupe6.

Dal canto suo Ezio D'Errico, ambientando in Francia i suoi romanzi polizieschi, ci conduce nelle catacombe di Parigi. Particolarmente suggestiva l'immagine del "piccolo giardino incolto" nel quale è collocato un pozzo che, come nelle fiabe popolari, mette in comunicazione il mondo superiore col mondo inferiore. In quest'ottica, le vicende degli uomini finiscono per somigliare a storie di gnomi: somiglianza suggerita fra l'altro, sul piano della scrittura, dalla frequenza di parole chiave come "tana" e "fiaba" (persino l'ufficio del commissario Richard, al Quai des Orfèvres, prospiciente la Senna, è paragonato a una "tana").

Prese la lanterna e s'incamminò col suo passo dinoccolato per un cunicolo le cui pareti dovevano contenere della silice, perché i riflessi della lampada ogni tanto si rifrangevano in piccoli bagliori d'argento. Un'aria umida che sapeva di muffa gli alitava sul viso. Un'aria insipida di caverna7.

Nella grotta sotterranea, che è luogo della natura e della storia insieme, le figure del delinquente e dell'uomo della legge si confondono per un attimo con quelle di bizzarri archeologi e speleologi della città, ma le porte blindate e le pareti metalliche di un rifugio antiatomico, descritto da Calcerano e Fiori nel loro primo romanzo poliziesco, L'uomo di vetro (1985), riverberano nel mondo ipogeo un brivido di luce sinistra. Nella mutata prospettiva di uno spazio rappreso in se stesso, come all'interno di una conchiglia, si rinnova nella sua versione più moderna («combinazione elettronica che può essere attivata solo da dentro»), il mistero della camera chiusa.

[Il commissario] Martini illuminò il fondo del cunicolo.
«Ecco. Laggiù ci può essere un buon nascondiglio!»
Si tolse la giacca e con la pila in mano si infilò nella stretta apertura. Esaminò i pannelli. Erano tutti accatastati uno vicino all'altro e inclinati su un lato.
«Aiutatemi a uscire da questo buco!»
Argenti e Salvi lo tirarono per i piedi8.

«La città ctonia, nell'irradiarsi degli spazi multipli, e per i significati che assume (di pericolo, di mistero e di morte) altro non è, in definitiva, che il Labirinto», osserva l'amica, esperta in labirinti, alla quale vado passando via via questi appunti. Le sue parole mi danno l'indicazione della via da seguire e mi ritrovo a Todi, sul piazzale della Rocca. Raggiungo i due magistrati che passeggiano proprio mentre il pretore sta dicendo: «Se il nostro morto ha preso per quelle vie [le gallerie etrusche], possiamo lasciare ogni speranza»9. E poi eccomi nelle catacombe. «Con un boato da torrente che rompe le dighe»10, crolla la volta di un soffitto e il commissario Bonichi resta prigioniero della frana che chiude l'imbocco della sala". Poco più oltre il commissario Éderle si introduce in uno stretto corridoio e «una parete silenziosa scivola alle sue spalle»11 ; nel buio di «una notte senza dimensioni» il commissario Richard si sente sprofondare in un vuoto che il suo ultimo pensiero cosciente ravvisa nel nulla della morte12.

Il Labirinto: incombente minaccia di scacco per il detective13.

Il rifugio antiatomico de L'uomo di vetro è una specie di buco nero, cioè di labirinto concentrato. Con quel commissario, poi, che viene tirato fuori per i piedi, quasi a rivivere il trauma della nascita, la provenienza dal buio...

Voglio uscire, non è per claustrofobia, ma le tute, le maschere, la zona di decontaminazione, con tutto ciò che di apocalittico questi apparati risvegliano nell'immaginario contemporaneo, non mi fanno più pensare alle fiabe, ma piuttosto al paesaggio di Beckett, ai suoi terribili contenitori e alle sue inesorabili macchine geometriche.

E stato più volte sottolineato il rapporto strettissimo che unisce la civiltà urbana al genere poliziesco: il giallo, che non sarebbe nato senza la città, ne diviene il rotocalco per eccellenza. E la città, dopo essere apparsa come giungla («l'immensa selva londinese», diceva Conan Doyle), dopo aver mostrato il volto fangoso («Londra, il grande immondezzaio», sempre Conan Doyle), svela infine il volto sommerso14.

La città giungla è incombente e impenetrabile, tanto che non possiamo tutta intera abbracciarla se non in una veduta aerea, proprio come succede per la foresta equatoriale.

Gli spaccati urbani che, al di sotto dello strato d'asfalto, ne scoprono i piedi d'argilla, rendono la città sempre meno rassicurante, addirittura angosciosa.

Certo, siamo lontani dalla Londra incantata di Chesterton; e il sogno indimenticabile di Sherlock Holmes e di Watson che volano nel cielo tenendosi per mano, al di sopra dei tetti delle case15, come in un quadro di Chagall, forse non si potrà più fare, perché è probabile ormai che il viaggio nella città assomigli sempre più a una discesa agli Inferi.

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Note
1. L. Calcerano, G. Fiori, L'innocenza del serpente, Roma, Il Ventaglio, 1987, p. 7.

2. Ivi, p. 71.

3. L. Calcerano, G. Fiori, A scuola di giallo, Torino, SEI, 1988, p. 77.

4. A. Comez, L'uomo dei gigli, Milano, Mondadori, 1933, p. 121.

5. A. Varaldo, Il segreto della statua, Milano, Mondadori, 1936, pp. 193-194.

6. M. Grillandi, Un paradiso per morire, Milano, Fabbri, 1973, p. 94.

7. E. D'Errico, L'ospite inatteso, Milano, Mondadori, 1942, p. 71. Nelle catacombe si conclude un'avventura parigina di Lord Lister, "illadro misterioso" (n. 8 della serie di Nerbini apparsa negli anni Trenta).Sul personaggio di Lord Lister, si consulti il repertorio di F. Cristofori, A. Menarini, Eroi del racconto popolare prima del fumetto, Bologna, Edison, 1986. Descrizioni del mondo sotterraneo sono frequenti nella narrativa popolare: dal romanzo gotico settecentesco, al feuilleton, ai pulps. Per limitarci alla produzione italiana si veda il volume antologico, curato da R. Reim, L'Italia dei misteri. Storie di vita e malavita nei romanzi d'appendice, Roma, Editori Riuniti, 1989, che riporta una pagina di Luigi Natoli sulle catacombe di Palermo.

8. L. Calcerano, G. Fiori, L'uomo di vetro, Roma, Il Ventaglio, 1985, p. 151.

9. A. Comez, op. cit., p. 121.

10. A. Varaldo, op. cit., p. 201.

11. M. Grillandi, op. cit., p. 95.

12. E. D'Errico, op. cit., pp. 124-5.

13. Si può cominciare con P. Santarcangeli, Il libro dei labirinti, Milano, Frassinella 1984.

14. Le citazioni di A. Conan Doyle sono tratte dal primo capitolo di Uno studio in rosso (1887).

15. A. Conan Doyle, «Un caso di identità», in Le avventure di Sherlock Holmes (1892). Naturalmente Sherlock Holmes conosce il sottosuolo di Londra; resta tuttavia, nella mia immaginazione, una creatura prevalentemente aerea, così come appare agli occhi di Watson in una scena notturna de II segno dei quattro (1888): «Mentre io scendevo al pianterreno, Sherlock Holmes era salito sul tetto, dove non mi fu difficile scorgerlo, simile a un'immensa lucciola, intento a strisciare lentamente torno torno. Lo perdetti di vista dietro un gruppo di comignoli, ma ricomparve poco dopo per sparire un'altra volta sul lato opposto. Dopo aver fatto il giro completo dell'edificio lo vidi seduto accanto ad una delle gronde d'angolo».

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