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A scuola con il giallo
Il genere poliziesco tradizionale utilizzando capacità logico-formali, aiuta lo sviluppo di abilità che si trovano tra gli obiettivi degli insegnamenti scientifici. In quello moderno la ragione umana trionfa sulle difficoltà, ma si scontra con i meccanismi del potere per cui il metodo scientifico non è più in primo piano. Il poliziesco classico è un libro che si scriveva a partire dalla fine seguendo regole ben definite. La conoscenza di queste può servire per interessanti esercitazioni dei ragazzi.

«– Vi è qualche particolare, Holmes, sul quale desidera attirare la mia attenzione?
– Sì, l'incidente curioso del cane, di notte.
– Ma il cane non ha fatto niente quella notte.
– Questo, appunto, è l'incidente curioso»
1.

Così è per il poliziesco a scuola.

Il fatto che non compaia, ad esempio, nei programmi della scuola media, dove pure è presente un cenno alla letteratura dì fantascienza, è realmente un incidente curioso.

All'indagine su questo piccolo mistero sono dedicate le note che seguono. Esse ci sono state dettate anche dal piacere di celebrare, privatamente, la nascita, cento anni fa, di un personaggio letterario che ha finito con l'assumere, nell'immaginazione dei suoi lettori, sembianze reali: Sherlock Holmes.

Leggere, si sa, è una necessità, un bisogno, un'abitudine, forse un vizio. Molti lo paragonano a quello dell'alcool o del tabacco2, ma, nello spirito del paradosso, va rilevato che proprio come per questi vizi di massa dell'uomo moderno è necessaria una giusta iniziazione, anche per la lettura il rito deve essere tale da indurre ad una reiterazione della prova.

Dal punto di vista degli operatori scolastici, in un'epoca oltre tutto di insistenza dei messaggi audiovisivi, l'iniziazione alla lettura è ancora un obiettivo e un problema che si tenta in parte di risolvere con l'ausilio della letteratura pensata o adattata per i ragazzi.

Gli stessi programmi della scuola media definiscono l'attività del leggere come l'essenziale strumento educativo di accesso al patrimonio culturale e naturale fattore di autocultura.

Lo scopo dell'educazione alla lettura è dunque in primo luogo proprio quello di stimolare una disponibilità alla lettura e, cioè, le attitudini, le motivazioni, l'impegno volitivo alla lettura e di formare un'autonomia: ossia la capacità di interpretazione, che implica, anche, quella di scelta, di valutazione, di reazione3.

Per leggere, il giovane, che trova altrove la risposta alla sua fame di fantastico, di conoscenza, di esercizio intellettuale e di soddisfazione estetica, deve prendere in mano un oggetto scarsamente attraente, come un libro, deve lasciarsi affascinare da ciò che promettono copertina e bandelle, deve cominciare a leggere e trovar modo di proseguire fino in fondo. Per ultimo, il giovane, deve trarre abbastanza compiacimento dall'esperienza da tornare a prendere in mano un secondo libro4.

Quel gusto della lettura che una volta i giovani assaporavano anche (e soprattutto) fuori della scuola5 è principalmente nella scuola che deve venire educato. Perché ciò avvenga si può far un affidamento solo relativo sulla coercizione scolastica, che può sostituire l'iniziativa volontaria del giovane a misurarsi col libro, ma connota in modo ulteriormente negativo la non facile esperienza della lettura.

Una volta districato il significato mediante il controllo del linguaggio, lo studente dovrebbe inoltre essere aiutato a vivere, senza conformismi, la relazione che si instaura con l'autore nella lettura ed a reagire intellettualmente al contenuto della medesima6.

Tutto ciò è peraltro possibile solo se la parte ricevente della comunicazione letteraria, il lettore, riesce a sintonizzarsi con relativa facilità sul codice manovrato dall'autore, se lo strumento linguistico, almeno nelle prime esperienze, non presenta particolari ambiguità e complessità, se il libro non si limita a cercar di comunicare stati mentali, per contagio emotivo, ma trasmette (anche) qualcosa di facilmente comunicabile, come la conoscenza astratta, o meglio un problema intellettuale e logico. Certo un simile problema dovrebbe d'altro canto essere collocato in un contesto, verosimile, di descrizione di azioni, che soddisfi le necessità di una intelligenza (ancora) di tipo pragmatico e realistico.

Un romanzo adatto è allora proprio quello che liberi il giovane, gradualmente, dall'azione e da una realtà percepita quasi solo per immagini e riesca a trasportarlo in una dimensione che ha come oggetto il mondo culturale astratto delle azioni e dei problemi logico-matematici, ausilio del processo di sviluppo del pensiero logico e creativo; un romanzo che sia funzionale all'esercizio di decifrare, capire, giudicare, apprezzare, inventare ed eserciti al tempo stesso il pensiero a muoversi sulle rappresentazioni astratte con l'impressione (e la tranquillità) di chi crede di appoggiarsi su rappresentazioni del reale. In altre parole il romanzo poliziesco.

Segue Il lettore e il testo

Note
1. La citazione è tratta dal racconto «Barbaglio d'argento» di Arthur Conan Doyle ne Le memorie di Sherlock Holmes, Milano, Mondadori, 1960, 39.
«Uno studio in rosso» apparve come il pezzo principale del Beeton's Christmas Annua! del 1887.

2. G. Petronio, Teorie e realtà del romanzo, Roma-Bari, Laterza, 1977, XXI.

3. G. Giugni, Pedagogia della lettura, Torino, SEI, 1969, p. 93.

4. Per questo si diceva che il fine che si propone la letteratura per ragazzi è quello di «educare e divertire insieme». G. Bitelli, Scrittori e libri per i nostri ragazzi, Torino, Paravia, 1952, p. 7.

5. Sugli itinerari di lettura che un ragazzo percorre nei territori della letteratura «minore» è emblematico il racconto autobiografico di Jean-Paul Sartre ne Le parole, Milano, Saggiatore, 1964, 55.
«(...) Queste letture rimasero a lungo clandestine; Anne-Marie non ebbe nemmeno bisogno di mettermi sull'avviso: cosciente della loro indegnità io non ne facevo parola a mio nonno. Mi degradavo, uni prendevo delle libertà, trascorrevo al bordello le vacanze, ma non dimenticavo che la mia verità era rimasta nel tempio... continuai tranquillamente la mia doppia vita e non l'ho mai smessa: ancor oggi leggo più volentieri i volumi della "Sèrie Noire" che Wittgenstein»

6. R. Dottrens, Nuove lezioni di didattica, Roma, Armando, 1968, 106.

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