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A scuola con il giallo
Il lettore e il testo

Per capire il tipo di «utilizzazione» che lo studente può fare del romanzo poliziesco è necessario aprire un'ampia parentesi, a margine del discorso, per cercare di analizzare il rapporto, o meglio, il legame che esiste tra lettore e testo nella detective story, in questo particolare genere di fiction.

In tutto il genere, ma specialmente nel poliziesco classico, si può rintracciare facilmente, al di là della varietà, un modulo narrativo costante che costituisce la struttura essenziale del racconto.

Uno schema compositivo che sembra assumere una valenza contrattualistica tra autore e lettore: quest'ultimo risalirà la catena degli indizi che lo scrittore ha puntualmente prefabbricato per arrivare ad una soluzione data ma nascosta, perché anche il lettore è previsto ed inserito in quello stesso schema compositivo, ed anzi ne è elemento essenziale.

Borges, con perfetto senso del paradosso, spinge la valutazione degli effetti di tale inserimento fino ad affermare che il romanzo poliziesco ha creato un particolare tipo di lettore: quando leggiamo un giallo noi tutti siamo un'invenzione di Edgar Allan Poe7.

Insieme agli altri personaggi del racconto, il lettore è inserito nel contesto di un delitto, di uno strappo nel tessuto dei rapporti sociali al quale si oppone, immediatamente, la riparazione di una attività investigativa.

Il mistero, che è quasi sempre una morte — evento di per sé misterioso — viene svelato per mezzo dell'intelligenza indagatoria, grazie ad un'operazione intellettuale di cui il lettore n'on è semplice spettatore, ma compartecipe.

L'esame del procedimento logico dell'investigatore nel poliziesco classico e l'analisi di come l'autore ha strutturato la narrazione, disseminandola di informazioni, tracce, segni, concretano una ricostruzione di un ambiente artificiale, cui ci si può avvicinare anche ludicamente, come con il gioco dei blocchi logici, o col materiale strutturato multibase, per accennare allo specifico scolastico.

Nel poliziesco classico, infatti, occorre sottolinearlo,

«il delitto non è un fatto ma un problema, ossia un enunciato mentale-verbale, tanto più eccitante e affascinante quanto più eccentrico, misterioso, quanto più impegnato a negare le leggi della logica quotidiana e convenzionale»8.

Vedremo come la parentela col più antico enigma si faccia negli epigoni di Poe e Conan Doyle sempre più stretta, poiché

«quello che può rispondere soddisfacentemente a un enunciato fantastico-verbale è un altro enunciato fantastico-verbale, di segno opposto ma perfettamente simmetrico al primo, come gli incavi e le prominenze di una chiave corrispondono a quelli di una serratura: la soluzione dell'enigma; o mistero, o indovinello, ossia proprio la "chiave", ipotesi nello stesso tempo assolutamente astratta (neanche la soluzione è un fatto) ma irrevocabile ed inequivocabile»9.

Il racconto è il termine medio tra problema (poliziesco) e soluzione in cui la disomogeneità degli elementi, alcuni esposti marcatamente e molto definiti, altri dissimulati ad arte nello sfondo, appena accennati, dà luogo a percorsi logici e interpretativi per definizione plurimi, che abbisognano di una intelligenza selettiva da parte del lettore.

In realtà non esiste narrazione senza sintomi ed indizi, senza la possibilità di una pluralità di fruizioni e letture:

«la gradualità con cui si accede al senso del racconto, il riformularsi costante di tale senso nel procedere delle azioni e nel disvelarsi progressivo dei personaggi, la parzialità dello sguardo del narratore e le sue reticenze fanno sì che un testo non si presenti mai come una superficie semanticamente omogenea»10.

Per il romanzo poliziesco, però un tale meccanismo assume rilevanza totalizzante, ogni lettore è un po' Watson e deve seguire, (è chiamato ad imitare) Holmes.

Tra la congerie delle tracce e degli indizi che il detective deve selezionare e gli elementi di soluzione nascosti tra i risvolti della narrazione, che il lettore deve identificare, c'è perfetta corrispondenza.

Se la distinzione tradizionale tra segno e sintomo riposa sui caratteri di artificialità (volontarietà e convenzionalità) del segno e sulla naturalità (involontarietà e motivazione) del sintomo11, il lettore di gialli è di fronte invece alla simulazione, alla produzione volontaria di sintomi o meglio di segni camuffati da sintomi, ma pur sempre concretanti un sentiero logico ripercorribile.

Il procedimento di lettura del giallo consiste nella trasformazione di sintomi, simulati o meno, in segni12.

Come l'investigatore deve adeguarsi al suo avversario, il lettore deve decrittare il messaggio inviatogli dallo scrittore, con di fronte a sé un duplice inganno, quello del colpevole e quello dell'autore.

L'autore ha costruito sul disegno del personaggio colpevole un meccanismo di produzione di sintomi che il lettore tenterà di decifrare con continue decisioni, omologabili a quelle di un vero investigatore,

«sapendo che non tutto è rilevante, nella esposizione, già filtrata, del narratore» e che deve separare «il discorso enigmatico e discreto dei sintomi da quello spesso assordante delle evidenze»13.

Il procedimento mentale del lettore, allora, si presenta come una ideale detection che ha ad oggetto non tanto il delitto quanto il racconto del delitto: ambito in cui del resto autori come Agatha Christie riescono a macchiarsi di ogni bassezza pur di vincere il confronto più importante, quello con l'intelligenza del lettore.

Rispetto ad una reale indagine, il lettore ha un solo vantaggio, che divide col detective-personaggio: grazie ai buoni uffici dell'autore non potrà sfuggirgli alcun indizio essenziale. Sarà un indizio enigmatico, solo indirettamente ricostruibile, ma nelle ferree regole è scritto che non può essere taciuto.

Come in un qualunque altro tipo di racconto, il lettore dovrebbe esser messo in condizione di sapere tutto quello che occorre sapere14.

In altre parole, fino a che il giallista gioca «pulito» (sino ad Agatha Christie, insomma) è immanente una sfida al lettore, quella sfida che Ellery Queen porterà allo scoperto lacerando la narrazione al punto in cui i dati per la soluzione del mistero ci sono tutti e lanciando, nella doppia veste di personaggio-autore e personaggio-detective, il guanto alla perspicacia di chi legge. Il lettore è chiamato, in fondo, a ben vedere, ad inventare una storia, anzi, a reinventare la stessa storia già costruita dallo scrittore15.

In altri termini delitto, indizi, investigazione, scoperta del colpevole sono elementi tutti che partecipano ad una sorte dì fable convenue, un patto tra scrittore e lettori ed ancor più, tra genere e fans, la cui caratteristica fondamentale, oltre la convenzionalità della trama e la sussistenza di regole del gioco, sta nel ruolo del destinatario della comunicazione letteraria quale elemento attivo della narrazione.

Perché il lettore rispetta un tale patto? Quali ne sono i reali significati?

Una prima risposta è semplice e si ritrova nella condizione stessa del lettore, che deve tendere ad essere, secondo Novalis16 «l'autore ampliato» e a fare del libro ciò che vuole.

«Io dimostro di aver capito uno scrittore solamente quando so agire secondo il suo spirito; quando, senza diminuire la sua individualità, la so tradurre e variamente modificare».

Questo è particolarmente agevole nel romanzo poliziesco, poiché la sua stessa convenzionalità pone solo il problema della pre-conoscenza delle regole, poiché il contratto chiede poco al lettore e gli restituisce molto, lo pone con semplicità sullo stesso piano di chi scrive, gli consente una perfetta fruizione del testo.

Quanto ai reali significati di questa fable convenue che è il romanzo poliziesco -parliamo di significati, al plurale, come è d'obbligo in casi come questi, in cui le intenzioni degli autori si coniugano attivamente con i desideri dei lettori -, c'è da dire che il primo significato è certamente nell'aspirazione a vedere ricomposte regole sociali violate.

È l'intelligenza al servizio del vivere civile che riesce a sconfiggere la barbarie della compromissione nei delitti: nel Delitto, l'omicidio, che tutti li ricomprende. Non sempre nella realtà il gioco riesce, come ormai ci ammoniscono i gialli più moderni. Poi c'è la scoperta del colpevole, dell'origine del male, ed anche questa circostanza non è vissuta frequentemente e dà una gioia non meramente intellettuale.

«Come sempre lo scrittore è rimandato al problema della morale o dell'assenza di morale - si autoanalizza la Highsmith17 - in questo mondo di gente feroce e di sicari, non diversi nel ventesimo secolo da quelli dei secoli prima di Cristo, a chi importa se qualcuno uccide o viene ucciso? Al lettore, se i personaggi della storia sono convincenti».

In questa prospettiva, il giallo ha la funzione di mimare un concetto etico, la giustizia e di offrire nel contesto di una narrazione «eccessiva» un'idea di rivincita e di ripagamento18.

Un altro significato, non del tutto disgiunto dal precedente, è individuabile nella circostanza che i delitti e le indagini sono sempre più diventati una possibile metafora per parlare del mondo che ci circonda. Lo hanno dimostrato scrittori del calibro di Gadda, Sciascia, Eco, Dürrenmatt... per non parlare di Dostoevskij, oltre a tutti i migliori scrittori del genere, da Hammett a Chandler a Simenon... e via citando fino ai più importanti scrittori di spy-stories, Le Carré, Greene, Seymour. Ma, se questo è vero, ha ragione Petronio nel sostenere che indagini e delitti non sono più i temi di un genere chiuso e che

«i generi dunque hanno perso una delle loro caratteristiche essenziali, la capacità di determinare il livello e quindi il valore dell'opera; e proprio perciò sono diventati... semplici serbatoi di temi e di schemi, adoperabili per tutti gli usi, a tutti i livelli possibili»19.

E ancora, avanzando un'interpretazione psicoanalitica - come tale fuori della portata di chi scrive - non è forse vero che il romanzo giallo rinchiude il problema della morte, della morte violenta almeno, nella gabbia di un gioco, di un contesto improbabile e così facendo la allontana dal lettore, la esorcizza e la riconduce a termini di razionale, quanto illusoria, comprensibilità?

In definitiva si potrebbe concludere che il romanzo poliziesco testimonia del tentativo comune di autore e lettori di comportarsi, magari per gioco, sensatamente e razionalmente anche quando nella realtà non ci sono ragioni evidenti per farlo.

È questo senso di accettata contraddizione una delle caratteristiche salienti di un maestro del poliziesco di ogni tempo: Dashiell Hammett.

Segue Poliziesco e letteratura

Note
7. J.L. Borges, Orai, Roma, Editori Riuniti, 1981,50. «Il fatto estetico richiede la congiunzione del lettore e del testo e solo allora esiste (...). C'è un tipo di lettore attuale, che è il lettore di romanzi polizieschi. Questo lettore —lo si trova in tutti i paesi del mondo e lo si conta a milioni - è stato generato da Edgar Allan Poe».

8. G. Gramigna, Post-fazione a E.C. Bentley, La vedova del miliardario, Milano, Mondadori, 1976, 228.

9. Gramigna, cit. ibidem,

10. G.P. Caprettini, Le orme del pensiero ne II segno dei tre, a cura di U. Eco e T. A. Sebeok, Milano, Bompiani, 1983, 159; fr. anche A. Marchese, L'officina del racconto, Milano, Mondadori, 1983, 49.

11. Caprettini, op. cit., 161-162.

12. Caprettini, op. cit., 163.

13. Caprettini, op. cit., 160.

14. U. Eco, Apocalittici e integrati, Milano, Bompiani,1964, 201.

15. Eco ha sottolineato come lo stesso Holmes «inventi» quando fra i molti percorsi mentali compatibili col comportamento muto di Watson individua quello effettivamente pensato. Inventa una storia. U. Eco, Corna, Zoccoli, scarpe. Alcune ipotesi su tre tipi di abduzione, in Il segno dei tre, cit., 256.

16. Novalis, Frammenti, Milano, Rizzoli, 1976, 340-341.

17. P. Highsmith, Suspense, pensare e scrivere un giallo, Milano, La tartaruga nera, 1986, 120.

18. Viene in mente, in proposito, l'analisi di Roland Barthes, su un altro «spettacolo eccessivo» il catch: esso
«è prima di tutto una serie quantitativa di compensazioni (occhio per occhio, dente per dente). Questo spiega come i rovesciamenti di situazione posseggano agli occhi degli appassionati del catch una sorte di bellezza morale: essi ne godono come di una vicenda romanzesca ben a proposito, e più è grande il contrasto tra !a riuscita di un colpo e il mutare della sorte, più è vicina al crollo la fortuna di un contendente e più il mimodramma è giudicato soddisfacente. La Giustizia è quindi il corpo di una trasgressione possibile; proprio in quanto c'è una Legge, lo spettacolo delle passioni che la soverchiano ha tutto il suo valore».

19. G. Petronio, Il romanzo poliziesco, Bari, Laterza, 1985, 83.

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