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A scuola con il giallo
Dal positivismo ad Agatha Christie

Il più semplice appiglio didattico è naturalmente quello di sfruttare la lettura guidata dei primi polizieschi, delle narrazioni ormai classiche di Arthur Conan Doyle, di Robert Austin Freeman, di Jaques Futrelle per parlare di un'epoca caratterizzata dall'ingenua fiducia nell'onnipotenza della scienza e nella sua funzione salvifica.

Se molti non conoscono le figure del dottor Thorndyke e del professor Van Dusen, la «Macchina pensante», celeberrimo è il personaggio di Holmes, ormai vecchio appunto di cent'anni, campione del metodo scientifico applicato al campo della ricerca degli assassini e modello di pensatore razionale.

Come ricorda lo stesso Conan Doyle nelle sue memorie, Holmes nacque negli anni in cui i maggiori filosofi inglesi erano Huxley, Tyndall, Herbert Spencer e John Stuart Mill; annota Pierre Nordon, un biografo di Conan Doyle,

«il mondo fittizio cui apparteneva Sherlock Holmes si attendeva da lui ciò che il mondo reale di allora si attendeva dai suoi scienziati: più luce e più giustizia.
Creazione di un medico imbevuto del pensiero razionalista del tempo, il ciclo holmesia-no ci offre per la prima volta lo spettacolo di un eroe che continuamente trionfa con i mezzi della logica e del metodo scientifico»
31.

L'investigatore, come lo scienziato, nell'induttivismo «ingenuo» di quei tempi dovrebbe partire dall'osservazione attenta dei fatti, da asserzioni o proposizioni osservative precise, che sono il terreno da cui deriverebbero insieme la scoperta dell'assassino o, se del caso, la scoperta scientifica.

Nessun filosofo della scienza contemporanea naturalmente condivide più le tesi che emergono nei polizieschi classici. Né scienziati, né epistemologi sono all'oscuro dei difetti inerenti una concezione che vede la scienza poggiare su un sicuro fondamento di esperienza e di osservazione e crede alla sussistenza di un certo tipo standard di procedura inferenziale con la quale, da simili fondamenti, si derivino le teorie scientifiche32.

D'altro canto, quegli stessi pregiudizi trionfalistici che sono stati abbandonatidalla comunità degli scienziati, sono vischiosamente pervicaci nel cosiddetto senso comune e modellano quel fideismo con cui, almeno fino a tempi recenti, veniva accolto ogni enunciato ed ogni informazione garantita come «scientifica».

Nella stessa evoluzione del romanzo poliziesco classico, peraltro, l'antica fede di Freeman e Conan Doyle non ha resistito al mutare dei tempi ed è stata prima stravolta dai giallisti enigmistici, poi superata dal genio della Christie e più recentemente distrutta da Dürrenmatt.

Mano a mano che la fede nella scienza si ridimensionava, nei lettori appassionati del poliziesco, gli autori migliori, in continuo diretto intuitivo contatto con le esigenze dei loro acquirenti, spostavano l'accento sugli aspetti enigmistici sottolineando la sfida al lettore che pure era componente importante di libri quali quelli di Conan Doyle e Poe.

Più serendipity e meno scienza, più fiuto e genialità e meno criminologia. Come nei modelli, peraltro, il segreto della vittoria dell'autore nella sua partita col lettore continuava a risiedere nella sterminata vastità dell'archivio dati e delle conoscenze dei detectives come in accorte prospettazioni di indizi dissimulati.

La sempre maggiore artificiosità e convenzionalità delle storie si evidenzia dalla codificazione espressa delle regole di costruzione della trama che sono anche le norme generali del contratto fra autore e lettore.

Anche S.S. Van Dine (pseudonimo di Willard Huntington Wright) crede nel racconto poliziesco fondato sul presupposto di analisi esclusivamente razionali, ma per il creatore di Philo Vance il romanzo è un mero gioco intellettuale, una partita tra contendenti alla pari (lettore e scrittore) come tale necessariamente assistita dal fair play del più forte, del demiurgo che ha in mano lo svolgimento dell'immaginario letterario.

Autori come Ellery Queen (pseudonimo dietro cui, com'è noto si nascondono Manfred B. Lee e Frederick Dannay) ed Agatha Christie, dal canto loro, mostrano di fatto con gli itinerari logici prescelti nel costruire i loro plot, con il loro modo originale di dipanare la detection, di essere lontani dal positivismo di Dupin, Holmes e Thorndyke.

La regina del giallo, anzi, chiude un'epoca nella storia del poliziesco proprio contestando il metodo scientifico di Holmes e beffando il codice instauratosi tra creatori e fruitori di romanzi polizieschi. Non c'è regola di Van Dine che la Christie non abbia violato, pur rimanendo, per acclamazione, all'interno del genere.

Già Bentley nel suo «Trent's last case», del 1912 (in italiano La vedova del miliardario)

«attraverso il ricorso formale ad una soluzione esatta nella ricostruzione dei fatti ma non applicata al personaggio responsabile»

aveva fatto da un lato

«quasi implicita ammissione di impotenza»

mentre dall'altro aveva mosso

«una accusa di sterile congestione e di immobilismo nei confronti del genere poliziesco»33.

Dürrenmatt, ne La Promessa, da un caso particolare, da una storia specifica arriva

«al caso del detective in genere, alla critica di uno dei più tipici personaggi ottocenteschi»34.

Il suo Matthai è uno Sherlock Holmes sopravvissuto a se stesso ed al suo tempo, che

«voleva che i suoi calcoli tornassero anche nella realtà»35,

pretendeva che la sua razionalità avesse l'ultima parola nelle indagini ed era riuscito

«a sfondare il numero di ipotesi e di supposizioni che ci circonda "spingendosi" in prossimità delle leggi che regolano il ritmo del mondo, a cui noi altri non arriviamo mai»36.

Ma non riesce ad incidere nella realtà, arriva solo «in prossimità» non arresta il suo colpevole, si abbruttisce nella sconfitta.

Il caso, l'imprevedibile, il casuale, «qualcosa di idiota» lo vincono.

Nel romanzo poliziesco moderno che Petronio definisce «problematico» e che deriva in pari modo sia dal ceppo centrale del poliziesco classico che dal filone del poliziesco d'azione all'americana, nato anche dalla reazione all'eccessiva artificiosità ed all'intellettualismo enigmistico degli epigoni di Holmes, non vi sono certezze né di metodo né di risultato.

La ragione umana non trionfa delle difficoltà e quand'anche riesce a far tornare i conti in astratto, a terminare positivamente una detection, si scontra, come insegna Sciascia, con i meccanismi del potere, che saranno pur comprensibili razionalmente, ma non obbediscono alla ragione.

Il metodo, il famoso metodo scientifico, che era la chiave magica delle indagini, non è più in primo piano.

Segue Il paradigma indiziario

Note
31. Entrambe le citazioni sono,tratte da Il segno dei tre, cit., 47 e 71.

32. A.F. Chalmers, Che cos'è questa scienza, Milano, Mondadori, 1979, 9.

33. R. Di Vanni, F. Fossati, Guida al giallo, Milano, Gammalibri, 1980, 32 ss.

34. «Anche il peggiore dei casi si avvera di quando in quando. Siamo uomini, dobbiamo tenerne conto, armarci contro questa realtà, e soprattutto avere ben chiaro in mente che riusciremo ad evitare il naufragio nell'assurdo, che per forza di cose risulta sempre più netto e schiacciante, e a costruirci su questa terra una esistenza abbastanza confortevole solo incorporandolo tacitamente nel nostro pensiero. La nostra ragione rischiara il mondo non più dello stretto necessario. Nel bagliore incerto che regna ai suoi confini si insedia tutto ciò che è paradossale». F. Dùrrenmatt, La promessa, Torino, Einaudi, 1975, 135.

35. Dùrrenmatt, op. cit., ivi.

36. Dùrrenmatt, op. cit., 134.

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