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A scuola con il giallo
Regole per un giallo

La lettura di un romanzo poliziesco, di un romanzo poliziesco classico, già comporta un'invenzione, come già detto, di tipo narrativo e di tipo logico. In ambito scolastico si tratterebbe, a ben vedere, solo di esplicitare, e guidare, ciò che il lettore è già costretto a fare, data la struttura particolare del testo.

Ipotizziamo un docente che voglia azzardare un esperimento didattico col romanzo poliziesco; egli potrà fornire a ciascuno dei suoi allievi una copia di un romanzo poliziesco (classico), cui mancano le ultime pagine, quelle che nei vecchi libri di Ellery Queen venivano dopo la sfida al lettore.

Libro alla mano, con tutto il tempo che vorranno (l'immaginazione può anche aver tempi lenti e a volte bisogna convivere coi problemi per riuscire a risolverli) gli allievi saranno chiamati in primo luogo a trovare colpevole e modus operandi, in secondo luogo a scrivere il finale mancante e da ultimo a confrontarlo con quello dell'autore.

Naturalmente, molto di rado verrà, anche se in larga approssimazione, ricostruita la storia pensata dall'autore, effetto questo della sostanziale slealtà del confronto; ma non c'è niente di più stimolante di tentare di risolvere problemi insolubili, perché questo porta a coniugare forzatamente logica e immaginazione, a inventare l'impossibile. Uno dei pregi dell'immaginazione è che in tale ambito le cose e le persone si comportano secondo i nostri desideri. È ovvio che lo studente si confronta sia con la realtà impostagli come vera dall'autore, sia con l'autore stesso, sul piano della corretta enucleazione immaginativa di una soluzione. Le soluzioni trovate, come succede spesso, non sono soddisfacenti, se rapportate alla realtà imposta, sono, in una parola, sbagliate, ma spesso sono soddisfacenti a livello immaginativo.

Ciò non solo perché nell'immaginazione è l'attività stessa che produce piacere e soddisfazione44, ma perché le soluzioni escogitate spesso rappresentano una plausibile composizione dei dati formativi presentati dall'autore..., a parte naturalmente qualche piccolo particolare sfuggito, o qualche informazione abilmente celata.

Tutti i lettori dei romanzi gialli giungono al redde rationem finale con un loro sospettato, hanno sviluppato un giudizio, hanno scelto tra varie possibilità e formulato un'ipotesi, una supposizione, hanno fatto una abduzione, più o meno plausibile. Contemporaneamente, hanno inventato un possibile mondo o un frammento di mondo, hanno raccontato una storia.

La prima ipotesi è in genere sempre la peggiore, la più banale, ma non è raro che vi si ritorni dopo aver prodotto più idee di quanto fosse necessario - meglio un'idea strampalata che nessuna idea- se si ha il coraggio di mettere tutto in discussione e di non accontentarsi delle idee buone, ve ne sono sempre di migliori45.

A questo punto, formulata la soluzione più originale (ricordiamo che il problema è intellettuale e non pratico) lo studente si troverà nella stessa situazione in cui si trova un giallista all'inizio del suo lavoro.

Il poliziesco classico è un libro, infatti, che si scrive a partire dalla fine.

«L'autore risale dalla soluzione del problema ai suoi dati. Inventa andando a ritroso, e quando infine arriva a possedere tutti gli elementi della dimostrazione non gli resta altro che procedere alla drammatizzazione (...). La storia come esiste nel pensiero dell'autore, è la storia per diritto, mentre quella che sta per essere data al lettore è la storia a rovescio. Se si preferisce, l'ordine dell'invenzione costituisce il diritto e quello dell'esposizione il rovescio, perché l'autore immagina la spiegazione (il diritto) prima della trama (il rovescio)»46.

Il passo ad una esercitazione alla composizione è agevole; questo può risultare intricante e sicuramente costituisce esercizio complesso che richiede padronanza di linguaggio, capacità logiche, creatività e immaginazione. Uno dei segreti di una buona scrittura è la convinzione di aver qualcosa di originale ed interessante da comunicare; la padronanza della tecnica, il successo nel confezionamento di un buon prodotto artigianale sono rafforzamenti che possono avere influenze non determinabili in anticipo, ma tutte favorevoli, con l'unico inconveniente di poter incrementare la schiera di grafomani che sono il supplizio delle case editrici, felix culpa, dopotutto.

Sapere è anche saper fare. Chi è competente nella scrittura è critico severo nella lettura e riesce ad apprezzare, oltre le specie superficiali del risultato dell'attività letteraria, la competenza ed il lavoro dell'autore. Lettura e scrittura cessano per lui d'essere mondi paralleli.

Per quanto riguarda la scrittura, la didattica nelle nostre scuole, come è noto, tende piuttosto all'amplificazione e alla retorica.

L'esercizio di scavare una narrazione con il minimo delle parole necessarie, mantenendo l'efficacia, ma liberandosi degli orpelli retorici, lo sforzo di essere «secchi», di andare senza indugio ai fatti, di lavorare sul tema centrale, senza deviazione, può rivelarsi utile nel caso gli studenti si applichino a tagliare e «correggere» testi propri o altrui. Come sopportino certi autori un tale trattamento, fino a quale punto esso ne snatura le opere, fino a che punto il taglio può essere apportato senza toccare l'essenziale estetico oltre che narrativo, riteniamo siano problemi di interessante soluzione.

A tal fine, sempre dal romanzo poliziesco può venire un ausilio, dal giallo d'azione, nato in America come reazione all'artificiosità e alla convenzionalità degli epigoni del romanzo poliziesco classico e come prolungamento urbano dell'epopea dell'eroe del West. Si tratta di trarre lezione da Black Mask47.

Black Mask, come gli altri pulp, pagava i racconti un tanto a parola. Attorno al 1930 si trattava di un centesimo a parola. Chandler riceve per il suo Blackmailers dont' shoot (1933) di 18.000 parole centottanta dollari. Altre riviste praticavano tariffe di mezzo centesimo o addirittura di un quarto di centesimo a parola, ma si trattava di pulp che si accontentavano degli scarti degli altri48.

Come in una scuola, il capitano Shaw, mitico direttore di Black Mask, correggeva con la matita blu i lavori dei suoi autori, tagliando quello che riteneva non necessario49. Erano ad un tempo spietate critiche stilistiche ed esercizio di intenti meno confessabili.

Naturalmente, come talvolta ci mostra Hemingway, anche l'antiretorica può diventare retorica...

Nel caso del poliziesco classico, comunque si sottolinea in genere la primalità del plot, dell'intreccio narrativo rispetto alle altre componenti dell'opera, come pure il valore estetico della «trovata» conclusiva, come elemento attorno a cui ruota tutta l'invenzione, e la storia e l'effetto artistico della «rigorosità della dimostrazione»50.

Per questo, per il poliziesco classico, caso più unico che raro, sono state espressamente codificate analitiche regole. Sono regole molto particolareggiate che sembrerebbero, a tutta prima, chiudere in una camicia di forza chi fosse invitato a tenerne conto.

È invece da ritenere che proprio dalla costrizione possa meglio liberarsi la creatività. Se si tiene presente che le istruzioni, come le regole del gioco, si possono cambiare, trasgredire, come ha fatto (per far solo un esempio) Agatha Christie, la discussione di quelle regole può introdurre alla rottura delle abitudini di pensiero. Sarà perciò utile riportarle facendo riferimento ad una delle raccolte più complete51.

Le venti regole di S.S. Van Dine (Willard Huntington Wright)

«1. Il lettore deve avere le stesse possibilità del poliziotto di risolvere il mistero. Tutti gli indizi e le tracce debbono essere chiaramente elencati e descritti.
2. Non devono essere esercitati sul lettore altri sotterfugi ed inganni oltre quelli che legittimamente il criminale mette in opera contro lo stesso investigatore.
3. Non ci deve essere una storia d'amore troppo interessante. Lo scopo è di condurre un criminale davanti alla Giustizia, non due innamorati all'altare.
4. Né l'investigatore né alcun altro dei poliziotti ufficiali deve mai risultare colpevole. Questo non è buon gioco: è come offrire a qualcuno un soldone lucido per un marengo; è falsa testimonianza.
5. Il colpevole deve essere scoperto attraverso logiche deduzioni: non per caso, o coincidenza, o non motivata confessione. Risolvere un problema criminale a codesto modo è come spedire determinatamente il lettore sopra una falsa traccia, per dirgli poi che tenevate nascosto voi in una manica l'oggetto delle ricerche. Un autore che si comporti così è un semplice burlone di cattivo gusto.
6. In un romanzo poliziesco ci deve essere un poliziotto, e un poliziotto non è tale se non indaga e deduce. Il suo compito è quello di riunire gli indizi che possono condurre alla cattura di chi è colpevole del misfatto commesso nel capitolo I. Se il poliziotto non raggiunge il suo scopo attraverso un simile lavorio, non ha risolto veramente il problema, come non lo ha risolto lo scolaro che va a copiare nel testo di matematica il risultato finale del problema.
7. Ci deve essere almeno un morto in un romanzo poliziesco e più il morto è morto, meglio è. Nessun delitto minore dell'assassinio è sufficiente. Trecento pagine sono troppe per una colpa minore. Il dispendio di energie del lettore dev'essere remunerato!
8. Il problema del delitto deve essere risolto con metodi strettamente naturalistici. Apprendere la verità per mezzo di scritture medianiche, sedute spiritiche, la lettura del pensiero, suggestione e magie, è assolutamente proibito. Un lettore può gareggiare con un poliziotto che ricorre a metodi razionali: se deve competere anche con il mondo degli spiriti e con la metafisica, è battuto ab initio.
9. Ci deve essere nel romanzo un poliziotto, un solo «deduttore», un solo «deus ex machina». Mettere in scena tre, quattro, o addirittura una banda di segugi per risolvere il problema significa non soltanto disperdere l'interesse, spezzare il filo della logica, ma anche attribuirsi un antipatico vantaggio sul lettore. Se c'è più di un poliziotto, il lettore non sa più con chi stia gareggiando: sarebbe come farlo partecipare da solo ad una corsa contro una staffetta.
10. Il colpevole deve essere una persona che ha avuto una parte più o meno importante nella storia, una persona, cioè, che sia divenuta familiare al lettore, e lo abbia interessato.
11. I servitori non devono essere, in generale, scelti come colpevoli: si prestano a soluzioni troppo facili. Il colpevole deve essere decisamente una persona di fiducia, uno di cui non si dovrebbe mai sospettare.
12. Ci deve essere un colpevole e uno soltanto, qualunque sia il numero dei delitti commessi. Il colpevole può avere naturalmente qualche complice o aiutante minore: ma l'intera responsabilità e l'intera indignazione del lettore devono gravare sopra un unico capro espiatorio.
13. Società segrete, associazioni a delinquere et similia non trovano posto in un vero romanzo poliziesco. Un delitto geniale e interessante è irrimediabilmente sciupato da una colpa collegiale. Certo anche al colpevole deve essere concessa una chance: ma accordargli addirittura una società segreta è troppo. Nessun delinquente di classe accetterebbe.
14. I metodi del delinquente e i sistemi di indagine devono essere razionali e scientifici. Vanno cioè senz'altro escluse la pseudo scienza e le astuzie puramente fantastiche, alla maniera di Giulio Verne. Quando un autore ricorre a simili metodi può considerarsi evaso, dai limiti del romanzo poliziesco, negli incontrollati domimi del romanzo d'avventure.
15. La soluzione del problema deve essere sempre evidente, ammesso che vi sia un lettore sufficientemente astuto per vederla subito. Se il lettore, dopo aver raggiunto il capitolo finale e la spiegazione, ripercorre il libro a ritroso, deve constatare che in un certo senso la soluzione stava davanti ai suoi occhi fin dall'inizio, che tutti gli indizi designavano il colpevole, e che, se egli fosse stato acuto come il poliziotto, avrebbe potuto risolvere il mistero da sé, senza leggere il libro fino alla fine. Il che - inutile dirlo - capita spesso al lettore ricco di istruzione.
16. Un romanzo poliziesco non deve contenere descrizioni troppo diffuse, pezzi di bravura letteraria, analisi psicologiche troppo insistenti, presentazioni di "atmosfera": tutte cose che non hanno vitale importanza in un romanzo di indagine poliziesca. Esse rallentano l'azione, distraggono dallo scopo principale che è: porre un problema, analizzarlo, condurlo a una conclusione positiva. Si capisce che ci deve essere quel tanto di descrizione e di studio di carattere che è necessario per dare verosimiglianza alla narrazione.
17. Un delinquente di professione non deve mai essere preso come colpevole in un romanzo poliziesco. I delitti dei banditi riguardano la polizia, non gli scrittori e i brillanti investigatori dilettanti. Un delitto veramente affascinante non può essere commesso che da un personaggio molto pio, o da una zitellona nota per le sue opere di beneficenza.
18. Il delitto, in un romanzo poliziesco non deve mai essere avvenuto per accidente: né deve scoprirsi che si tratta di suicidio. Terminare una odissea di indagini con una soluzione così irrisoria significa truffare bellamente il fiducioso e gentile lettore.
19. I delitti nei romanzi polizieschi devono essere provocati da motivi puramente personali. Congiure internazionali ecc. appartengono a un altro genere narrativo. Una storia poliziesca deve riflettere le esperienze quotidiane del lettore, costituisce una valvola di sicurezza delle sue stesse emozioni.
20. Ed ecco infine, per concludere degnamente questo "credo", una serie di espedienti che nessuno scrittore poliziesco che si rispetti vorrà più impiegare; perché già troppo usati e ormai familiari a ogni amatore di libri polizieschi. Valersene ancora è come confessare inettitudine e mancanza di originalità:
  • scoprire il colpevole grazie al confronto di un mozzicone di sigaretta lasciata sul luogo del delitto con le sigarette fumate da uno dei sospettati;
  • il trucco della seduta spiritica contraffatta che atterrisce il colpevole e lo induce a tradirsi;
  • impronte digitali falsificate;
  • alibi creato in base a un fantoccio;
  • cane che non abbaia e quindi rivela il fatto che il colpevole è uno della famiglia; [ecco svelato indirettamente il mistero dell'incidente curioso del cane di notte!]
  • il colpevole è un gemello, oppure un parente sosia di una persona sospetta, ma innocente;
  • siringhe ipodermiche e bevande soporifere (sieri della verità);
  • delitto commesso in una stanza chiusa, dopo che la polizia vi ha già fatto il suo ingresso; i) associazioni di parole che rivelano la colpa; /) alfabeti convenzionali che il poliziotto decifra».
Le regole possono orientare una esercitazione ma solo in parte costituiscono una «poetica» effettivamente condivisa largamente dagli scrittori del genere, anche se si limita al campo degli autori pre-Christiani.

Le regole numero 1 e 2 e 15 intanto sono sottilmente ipocrite e la stessa serie delle avventure di Philo Vance lo mostra inequivocabilmente. La n. 3 è dovuta al gusto dell'autore e spesso si nota come la storia d'amore ha uno sviluppo parimenti fondamentale ed intricante nell'economia della narrazione.

Le nn. 5 e 6 subirono il loro più rilevante vulnus con La vedova del miliardario di Edmund Clerihew Bentley (1912).

La n. 9 è clamorosamente negata dall'opera di Rex Stout dove fra Wolfe, Goodwin, Panzer, Cather, Durkin i segugi sono sempre almeno cinque, salvo l'intervento di altri coadiutori.

La n. 11 è decisamente ideologizzata: è troppo semplice sospettare i personaggi di casta inferiore, come tali più disposti al delitto!

La n. 12 non tiene conto dei casi in cui il colpevole è bensì uno ma il meccanismo è risultante dall'incrociarsi, magari casuale di diversi progetti autonomi. Cfr. Ellery Queen, La camera chiusa.

La regola 13 è quella violata dalla Christie ne L'assassino sull'Orient Express.

La regola 16 è felicemente violata da tutti gli scrittori di romanzi polizieschi, e non sono pochi, che disdegnarono, anche in epoca classica, la riduzione del libro giallo ad un indovinello da giochi enigmistici.

La regola 17 esprime un dato di fatto più che un enunciato normativo ed obbedisce piuttosto alla regola (non formulata) ma di rango costituzionale, per cui il colpevole non deve essere il più sospettabile. Se si riesce ad ideare una storia in cui il delinquente di professione non è sospettabile, nulla, neanche nella logica del poliziesco classico impedisce che possa venir, alla fine, trovato colpevole.

La regola 18 è stata violata persino dai sottoscritti ne L'uomo di vetro. Più autorevolmente, oltre alla già citata Camera chiusa di Ellery Queen, cfr. La camera gialla, di Leroux. Anche qui, se il meccanismo è ben studiato ed il suicidio appare, a tutta prima, altamente improbabile ed impossibile, la soluzione è da considerare, si ripete, anche a rimanere nella logica del poliziesco classico, legittima52.

Per quanto riguarda la regola 20 lettera e) non si può non rilevare l'audacia di Van Dine a criticare il maestro Conan Doyle.

Nonostante le osservazioni precedenti le regole di Van Dine possono costituire, se recepite criticamente, ove ne sia, ad esempio, permessa la trasgressione, un utile prontuario di situazioni e meccanismi, quale solo un espertissimo autore di polizieschi potrebbe mettere insieme. Quasi contemporaneamente a Van Dine, nel 1929, monsignor Reginald Knox, nell'introduzione a The Best English Detective Stories of 1928, compilava uh elenco di dieci regole.

«1. Il criminale deve fare la sua comparsa all'inizio della storia, e non all'ultimo momento.
2. La soluzione del delitto deve essere logica, senza ricorsi al soprannaturale.
3. E permesso l'uso di una sola stanza o passaggio segreto.
4. E proibito usare veleni nuovi, sconosciuti o che non lascino tracce.
5. Niente stranieri dall'aspetto sinistro o maligno (in particolar modo cinesi).
6. La soluzione del delitto non deve mai avvenire per una fortunata coincidenza.
7. L'investigatore non deve mai essere anche il colpevole.
8. L'investigatore non deve a bella posta nascondere al lettore gli indizi o le ragioni delle sue deduzioni.
9. Se viene introdotto un "Watson", questi non deve nascondere le sue opinioni.
10. Mai ricorrere a gemelli identici oppure a un sosia».

Riportiamo di seguito anche le regole formulate da François Fosca53

«1. Il caso che costituisce la base del racconto è un mistero apparentemente inesplicabile. 2. Uno o più personaggi, simultaneamente o successivamente, vengono considerati, a torto, colpevoli, perché indizi superficiali sembrano designarli tali. 3. Una minuziosa osservazione dei fatti, materiali e psicologici, seguita dall'esame delle testimonianze e, soprattutto, da un rigoroso ragionamento, trionfa su tutte le teorie affrettate. Colui che compie un'analisi non indovina: ragiona e osserva. 4. La soluzione, che concorda perfettamente con i fatti, è assolutamente imprevista. 5. Più un caso sembra straordinario, più è facile da risolvere. 6. Quando sono state eliminate tutte le soluzioni impossibili, quella che rimane, anche se in un primo momento può sembrare incredibile, è la soluzione giusta».

Sottolineiamo la evidente derivazione holmesiana della regola 6.

I «principi fondamentali» del poliziesco classico sono stati esposti inoltre, in forma discorsiva da A.R. Freeman in un famoso saggio, The art of the detective story54.

Per completezza riportiamo anche le regole estrapolate da Chandler per il giallo «verista», il poliziesco d'azione all'americana, che, pur essendo altrettanto convenzionale del poliziesco classico, peggio sopporta un canone di struttura.

Le dieci regole di Raymond Chandler

« 1. Il romanzo giallo deve essere motivato in maniera credibile sia come situazione originale, sia come conclusione.
2. Il giallo deve essere tecnicamente esatto per quanto riguarda i metodi del crimine e dell'indagine.
3. Il romanzo poliziesco deve essere realistico per quanto riguarda personaggi, ambiente e atmosfera. Deve trattare di persone vere in un mondo vero.
4. Il romanzo giallo deve avere un autentico valore come storia, a parte l'elemento poliziesco.
5. Il romanzo poliziesco deve avere una semplicità di struttura fondamentale, sufficiente a rendere facili le spiegazioni quando è il momento.
6. Il mistero insito nel romanzo poliziesco deve eludere un lettore ragionevolmente intelligente.
7. La soluzione, una volta rivelata, deve apparire inevitabile.
8. Il romanzo poliziesco non deve cercare di fare tutto in una volta. Se è una storia misteriosa in un clima mentale freddo, non può essere contemporaneamente una storia di violente avventure o di amore appassionato.
9. Il romanzo poliziesco deve punire il criminale in un modo o nell'altro, non necessariamente mediante il giudizio di un tribunale... Senza la punizione, il romanzo diventa simile a un accordo non risolto in musica. Lascia un senso di irritazione.
10. Il romanzo giallo deve essere ragionevolmente onesto con il lettore».

Sono evidenti le differenziazioni dal sistema delle regole dei precedenti legislatori letterari, in particolare si presti attenzione alle regole 3 e 4.

La regola 5, ahinoi, non è stata spesso rispettata dallo stesso Chandler, che fece fatica a dar conto dei particolari della trama de II grande sonno al regista Howard Hawks.

Il nostro tentativo (interessato?) di riparazione per l'assenza del poliziesco a scuola e nella letteratura per ragazzi è ormai consumato; forse non abbiamo del tutto chiarito il mistero del cane che non ha abbaiato, ma abbiamo attirato l'attenzione di qualcuno sul fatto che il mistero c'è. In fondo, con Alberto Savinio, pensiamo che chiarire un mistero è indelicato verso il mistero stesso...

Certamente fino ad ora i pochi che avevano avuto l'audacia di non escludere i gialli dalle letture dei giovani l'avevan fatto come concessione al gusto immaturo dei ragazzi, per non ignorare la vocazione di questi particolari lettori «per tutto ciò che esula dalle pareti ben ovattate di casa e li fa affacciare e li sbalza in un mondo diverso» quello appunto dove «l'avventura si tinge di giallo»55.

Non avevano concretamente valutato l'apporto dei testi appartenenti a questo genere letterario a diversi settori dell'insegnamento, nonostante persino un pedagogista come Dewey si fosse reso conto di come poteva essere utile per l'educazione del pensiero, per l'allenamento al ragionamento, per la stessa selezione di materiali idonei all'osservazione, la sussistenza, nello studente, di un'«interesse alla trama», di un racconto che suggerisca una serie di alternative, che si sostanzi di suspence56.

L'attuale mancanza di polizieschi scritti per ragazzi non costituisce un ostacolo per il lavoro a scuola col giallo; nel vasto catalogo del poliziesco classico si può pescare quasi ad occhi chiusi, col solo imbarazzo della scelta.

Son libri che non indulgono al macabro né alla violenza e che mai possono essere accusati, come certi epigoni del giallo d'azione all'americana, di contrabbandare «pruderies» o cripto-pornografia.

Oltre a questo, lo si sa, la letteratura per ragazzi non è quella «che gli scrittori scrivono» a tal fine ma quella che i ragazzi «nel leggere accettano e fanno propria, scelgono e prescelgono»57. Resta da dire a chi non ci ha preso sul serio che probabilmente ha fatto bene, ma che l'intenzione di queste note era soltanto quella di valutare l'apporto della trama poliziesca nel fenomeno educativo, con la complicità e l'aiuto di una schiera di personaggi, reali ed immaginari, che speriamo abbiano saputo offrire le giuste suggestioni.

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Note
44. M.B. Sutherland, Immaginazione ed educazione, Torino, SEI, 1973, 295.

45. W. Kirst, U. Diekmeyer, op. cit., 11 e 39.

46. Narcejac, Il romanzo poliziesco, cit., 48.

47. Black Mask (Maschera Nera) era un pulp (rivista di narrativa popolare a grande diffusione) di racconti polizieschi. Erano pubblicazioni di grande formato (Black Mask misurava, come Astounding ed Argosy, di fantascienza, cm 17,5 x 25, ma ce ne erano di più grandi) stampate su carta da quotidiano, pulp paper. Attorno agli anni venti negii Stati Uniti un tal genere di riviste, con intenti esclusivamente, quando non bassamente, commerciali avevano cominciato a prolificare, Hammett e, più tardi, Chandler si sono fatte le ossa proprio li in riviste che a volte venivano fondate perché il gran foglione di carta patinata in cui venivano stampate, tutte insieme, le copertine, aveva spazi inutilizzati. Sadoul, La storia della fantascienza, Milano, Garzanti, 1975, 84 s.

48. Sadoul, op. cit., 89. Ovviamente nella logica economicistica dei direttori di queste riviste, la ricerca dell'effetto si coniugava con l'insofferenza delle ridondanze stilistiche.

49. R. Chandler, La semplice arte del delitto, Milano, Garzanti, 1962, 28.

50. U. Eco, Apocalittici e integrati, Milano, Bompiani, 1977, 59. Così A.R. Freeman, citato da Narcejac, op. cit., 41.

51. R. Di Vanni, F. Fossati, Guida al giallo, Milano, Gammalibri, 1980, 9 ss.

52. Annota Narcejac: «non si capisce perché il detective non dovrebbe poter concludere (...) che un crimine presunto era invece un delitto accidentale o un suicidio», op. cit., 86 s.

53. F. Fosca, Histoire et technique du roman policier, 1937.

54. È disponibile in italiano un riassunto commentato delle tesi di Freeman in Narcejac, op. cit., 39 ss.

55. V. Galante Garrone, Incontri con autori ed opere di letteratura per l'infanzia, Torino, Loescher, 1967, 74.

56. «La ragione di questo fatto sta nella equilibrata combinazione del vecchio e del nuovo, del familiare e dell'inaspettato, che in tal caso si verifica. Noi pendiamo dalle labbra del narratore a causa di questo elemento di sospensione mentale. Il racconto suggerisce una serie di alternative, che però rimangono ambigue, cosicché tutto il nostro essere è portato a chiedersi: Che succederà ora? Quale corso prenderanno gli eventi?». J. Dewey, Come pensiamo, Firenze, La nuova Italia, 1961, 353 s.

57. B. Croce, Pagine sparse, III, Napoli, Ricciardi, 1943, 301.

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