L’ho detto: non so se è andata proprio così.....ma certo qualcosa di molto simile a quello che ho scritto nel mio racconto deve essere successo nella realtà .
Anzi sta succedendo: se il mio intuito narrativo non mi tradisce non dovrebbe mancare ancora molto all’epilogo con Fuoco.
Decisi allora di risistemare le pagine sparse dell’ultima fatica sullo scrittoio e di andarmi a preparare in cucina il mio darjeeling, forte e con poco zucchero.
L’ho gustato per la prima volta a Londra, quando sono andata ad uccidere quel traditore dell’M15 che aveva voluto tradire i miei committenti russi del K.G.B.. Da allora non l’ho più abbandonato.
Mi piace prenderlo con una goccia di latte che annuvoli appena il colore del tè nella tazza. Da questa finestra della cucina si può vedere laggiù nel mare la sagoma massicciamente leggera dello scoglio del Monacone.
Stavano bussando alla veranda proprio mentre l’acqua bolliva, era un tocco discreto. Nel cassetto del tavolo di cucina avevo sempre lasciato una vecchia Beretta Parabellum, ma non la presi.
- La porta è aperta, entri pure Comandante. -
Fuoco varcò la soglia con un’espressione di stupore sul volto - E’ venuto a prendere un tè con me?
- Con una goccia di latte, se possibile, e senza veleno.
Mi piaceva quell’uomo, forse mi piacerà essere catturata da lui. Presi un’altra tazza e preparai la teiera.
- No, niente veleno, come vede, anche se lo meriterebbe, dopo quello che mi ha ficcato nella spalla.
- Non è servito granchè, dovevo immaginare che con lei non avrebbe funzionato, e qualcuno ha pagato caro il mio errore.
- Quel giovane agente è morto? - chiesi porgendogli la tazza. - Mi dispiace ma non ho colpito per uccidere, anche se lei non mi crederà. - Ammetta, almeno, che in questa vicenda tra noi due, Comandante, c’è una sorta di parità del dolore, io ho perso il mio uomo e lei ha perso il suo agente...
- Non sono venuto a parlare delle morti e dei lutti - m’interruppe bruscamente Fuoco - sono venuto a prenderla e a sapere chi sono i suoi mandanti. Ormai il mare in cui può nuotare è diventato una pozza e prima che qualcuno la arpioni deve decidersi a vuotare il sacco. Così le potrò usare la cortesia di ficcarla in una prigione di massima sicurezza su un’isola, meno bella di questa, e buttare via la chiave.
Aveva parlato tutto d’un fiato e con un filo di concitazione nella voce.
Bevvi il mio tè e posai la tazza vicino al fornello. - Non è esattamente una proposta esaltante, la sua, e non è poi detto, come lei allude, che i miei committenti mi vogliono morta, - mentii - ma certamente sono finita con le spalle alla spiaggia e non ho la possibilità di riprendere il mare aperto. Beato Palla di neve che adesso, invece, grazie alla mia incapacità, può nuotare tranquillo in acque più sicure.
- Non divaghiamo - i tratti del volto di Fuoco si erano improvvisamente induriti - voglio la verità.
- Che parola grossa, fossi in lei mi accontenterei di conoscere quelle connessioni di pezzetti di verità che possono salvarle la pelle, visto che la vittima sacrificale di questa storia è il “Comandante Fuoco”, molto di più dell’”Orca assassina”. - Bevvi un sorso con avidità - Dopo il fallimento della mia missione, infatti, è diventato imperativo eliminare chi può ritessere i contatti tra il fisico italiano e la spia idealista russa. Vuole un’altra tazza di tè?.
Quella minima torsione del busto verso la teiera, spostò leggermente il bersaglio e mi evitò il colpo frontale. La pallottola dopo aver infranto il vetro della finestra di cucina e avermi sfiorato la tempia destra, si conficcò sul muro.
Mi gettai a terra mentre Fuoco si era piazzato contro il muro al lato della finestra con un revolver in mano.
- Riesce a vedere qualcosa? - mi chiese
- No, davanti alla villetta, come avrà visto venendo, c’è un gruppo di pini in mezzo alle rocce basse, sarà certamente ben nascosto lì. Dobbiamo portarci nell’altra stanza, nella panca sotto la finestra ho messo un’ M16, abbiamo bisogno di un volume di fuoco maggiore di quello. Così dicendo indicai la sua arma.
Appena terminai queste parole l’arma del killer scaricò quattro colpi, a sequenza ravvicinata, che scaraventarono in aria schegge di legno e cocci.
Rotolai verso l’altra stanza mentre Fuoco col polso ripiegato verso la finestra esplodeva tre colpi a caso e poi mi raggiungeva di corsa.
- L’arma l’ho riconosciuta! - mormorò acquattandosi vicino a me - E’ la carabina Colt Sporter Calibro 223.
- Come c’è riuscito? - Chiesi stupita.
- La sequenza degli spari è quella di un fucile d’assalto e l’estrema precisione del primo colpo che l’ha mancata di un soffio denota una regolazione precisa del congegno di mira fino a 800 metri. E soprattutto - proseguì con tono professionale - serviva un’arma del genere in queste condizioni di terreno, dato che tra la sua villetta e le rocce ci sono almeno 600 metri.
- Probabilmente ha ragione, i congegni di mira della Colt Sporter sono tra i nigliori in assoluto per un fucile d’assalto. E c’è di più, ha sparato cinque cartucce in tutto, quante ne contiene il caricatore di quell’arma.
- Non illudiamoci, avrà portato una scorta di caricatori di riserva, anche se evidentemente pensava, di cavarsela da lontano, con pochi colpi precisi. Ma chi sarà?.
Esitai un istante a rispondere avevo raggiunto la cassapanca, l’aprii e tirai fuori il veterano dell’U.S. Army, avevo una versione a canna corta e calcio retrattile particolarmente manegevole. Se quello che sta avvenendo non fosse la conferma del mio intuito, ti potresti chiedere Comandante, se chi spara appartenga al mio campo o non piuttosto al tuo.... - Mi venne naturale passare al tu, date le circostanze era proprio il caso di instaurare una comunicazione più diretta.
- Intuito narrativo?.
Afferrai saldamente l’impugnatura a pistola dell’ M16 e regolai la tacca di mira fino a 700 metri - Poi indicai le carte sullo scrittoio.
- Oppure intuito femminile, chiamalo come vuoi, però Comandante su quei fogli c’è scritto che qualcuno dei tuoi non ti vuole bene. Qualcuno che sta al vertice della tua organizzazione.
Scattai in avanti, spalancai la porta ed esplosi una sventagliata verso le rocce, poi mi gettai sotto la finestra accanto a Fuoco.
- Eccolo laggiù, spunta la canna della carabina, peccato non avere un binocolo...allora di che conferma parli?.
Lo guardai: non aveva paura aveva solo voglia di trovare il bandolo di quella matassa. - Del fatto che il tuo Servizio mi vuole morta, per evitare che io possa raccontare quella parte di storia che conosco. E anche del fatto, come ti ho già spiegato, che per stare ancora più sicuro il tuo Servizio vuole morto anche te, Comandante.
Fuoco mi guardò con odio, ma non gli lasciai il tempo di replicare. - Si vede ancora la canna della Colt Sporter?.
- No, - rispose con un fremito nella voce - ma voglio che tu sappia che si tratta del tipo di fucile d’assalto in dotazione ai nostri killer per le missioni con queste caratteristiche.
- Grazie per la tua conferma professionale e ora dimmi solo dove posso dirigere la prossima raffica per spaventare Scàntia.
Mi guardò senza più odio negli occhi - Ti dovresti alzare per sparare e lui ti inquadrerà nella finestra, non te la caverai...
- Io voglio provare ad uccidere quel figlio di puttana, voglio solo questo - Gli urlai in faccia.
- Sulla destra, dove finiscono i pini e c’è una roccia più grande.
In un attimo nella mente mi sfrecciarono i seguenti pensieri. “Certo, lo faccio per vendicare Momo, ma anche perchè non mi ci vedo a trascorrere una vita in una stanzetta con porte e finestre sbarrate. L’Orca assassina non può vivere in una piscina!”
Mi alzai e sparai tutto il caricatore, mentre mi riabbassavo velocemente una sola maledetta cartuccia, esplosa da Scàntia, mi penetrò nel collo.
Mi accasciai e vidi il mio sangue fluire copiosamente, provai a parlare ma la voce non mi uscì, vedevo solo Fuoco che mi premeva un fazzoletto sul collo.
Poi sentii che mi toglieva il fucile dalle mani. Inserì un altro caricatore e mi guardò con la pietà negli occhi.
Fu in quel momento che avvenne quello che più temevo fin dall’inizio della sparatoria.
In un lampo pensai “Quel figlio di puttana ha montato un lancia granate, con un congegno di sparo a parte, sulla Colt Sporter”. Proprio al centro della stanza a tre metri da noi una granata incendiaria al fosforo stava per esplodere : fuoco contro Fuoco!.
Lo vidi scaraventarsi sul tavolo e afferrare le carte del mio ultimo racconto, poi mentre tutto intorno a me esplodeva e s’incendiava, sentii l’urlo rabbioso del Comandante fuori della porta e i colpi a raffica del mio M16.
L’urlo prolungato dell’uomo e quello del fucile accompagnarono fino alla fine il mio ultimo racconto.
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