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Teoria e Pratica del Giallo
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C’è bisogno di un altro libro che, come una torcia da detective, spari una luce giallognola sulla narrativa poliziesca, sulla sua storia, sulla sua struttura e che, addirittura, induca il lettore a farsi giallista?

Sì, perché il giallo dopo più di un secolo e mezzo di vita, è diventato pervasivo di tutto ciò che ci circonda: al cinema, in TV, nella vita di ognuno di noi, in politica, nella finanza, in letteratura e su internet.

No, per lo stesso motivo: è diventato a tal punto pervasivo che tutti abbiamo ormai introiettato le sue principali caratteristiche e, come lettori o scrittori, ci sentiamo forzatamente iscritti nel suo canone.

Un club a cui non vorremmo appartenere, dato i molti delinquenti che lo frequentano!

Per fortuna lo frequentano anche tanti straordinari investigatori e cultori; allora è difficile sfuggire alla tentazione di continuare a indagare sul giallo e nello stesso tempo di coinvolgere, anzi, irretire i lettori nelle trame poliziesche.

Già, perché il successo planetario del giallo – raggiunto nel secolo breve, ma consolidato oggi nei quattro punti cardinali della Terra – è dovuto alla capacità di aver fatto scoccare la scintilla tra il polo positivo dell’investigatore e quello negativo (solo apparentemente passivo) del lettore.

Mentre il procedimento mentale dell’uno sembra teso a risolvere il delitto, la lettura si pone come un’ideale detection che ha per oggetto, non tanto il delitto, quanto il racconto del delitto.

Ma ci siamo chiesti se la gran mole di storie poliziesche, di trame vere o inventate non abbia alla fine cambiato l’originario rapporto, tra il cavalier Dupin e i suoi lettori.

Insomma è ancora attuale la famosa affermazione di Borges, secondo la quale quando leggiamo un giallo, noi tutti siamo un’invenzione di Edgar Allan Poe?!

Sì e no, anche stavolta: siamo ancora, previsti, come lettori, nel tessuto del racconto, non fosse altro perché siamo l’altro giocatore, quello che deve perdere, quello che deve essere sorpreso, ma, allo stesso tempo, la nostra necessità di svelamento delle colpe, a partire dalle nostre, è così aumentata che pretendiamo, come lettori, come cittadini, di giocare la partita alla pari.

Perché non ci basta più esser sorpresi, essere surclassati dalla bravura di Agata Christie, vogliamo diventare detective! Sia pure sotto lo sguardo stralunato che, dalla nostra copertina, ci lancia Buster Keaton: uno sguardo, un personaggio «che resta inafferrabile dai tentacoli delle masse – secondo Quentin Tarantino – e alla fine vince perché, nella dimensione predatoria in cui viviamo, non è il pugno a far male, bensì il colpo di genio fuori norma». Forse è anche un po’ merito del giallo, e della sua non proprio breve storia, se sentiamo questa singolare esigenza di protagonismo in contrasto con la quotidianità dell’indifferenza.

Forse è anche un po’ merito del giallo se abbiamo capito che le cose non sono mai come appaiono e che la propensione di chi comanda tende ad aumentare il livello di menzogna in maniera esponenziale.

Ora il giallo è un monumento letterario che ha un solo preciso itinerario di evoluzione e sviluppo: dopo Poe e dopo il giallo enigma, l’hard-boiled school di Hammett e Chandler ha restituito il delitto, con la tinta cupa del giallo realistico, alla gente che in genere lo commette o lo vede commettere e il poliziesco di oggi, certamente più problematico, tende a inquadrare la storia in una società forzatamente disincantata nei confronti delle conquiste della ragione e della giustizia.

Certo, esistono guide per chi vuole intraprendere il viaggio nell’itinerario del giallo, esistono persino regole (noi le forniamo tutte, o quasi!) sempre meno prescrittive, per chi vuole scriverne uno, ma l’unica cosa che realmente serve è la voglia di farsi giallisti! Di invertire i poli per far scoccare la scintilla e assumere la veste dello scrittore-investigatore.

L’ambizione di questo nostro anomalo manuale è proprio quella di rappresentare una cassetta di attrezzi utili per esercitare l’immaginazione nella direzione che vi sembrerà più opportuna, e che non deve, necessariamente, essere quella della scrittura di un racconto giallo.

Oltre gli attrezzi abbiamo poi voluto inserire nella cassetta due manufatti, due storie poliziesche (o quasi) in cui il contatto tra le due cariche rischia sempre di determinare un corto circuito, perché le guardie del Commissariato della Serpentara sono in realtà dei ladri e la loro messa in scena è solo funzionale a svaligiare una banca.

Ma un commissariato è un commissariato, e i ladri travestiti da guardie sono chiamati a gran voce a impersonare le loro maschere, così lontane dai loro volti.

E se i nostri Serpentari non possono, e neanche vogliono, risolvere un delitto, certamente possono arrivare alla soluzione del racconto di un delitto.

Come potrete fare voi nel finale de Il grande coniglio bianco, con un procedimento – quello usato da Ellery Queen della Sfida al lettore – che lacera la narrazione e ha lo scopo di stabilire una connivenza competitiva tra lettore e scrittore.

Benvenuta, allora, l’ultima evoluzione dell’invenzione di Poe: la creatura lettore che, novello Frankenstein, fa sua la sfida, si anima, va alla scrivania, o in piazza, o anche soltanto al bar e scopre, per suo conto, i colpevoli. Buona lettura.

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