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Guida alla lettura di Agatha Cristie
Recensione di Giuseppe Petronio
Luigi Calcerano e Giuseppe Fiori sono dei “giallisti” anomali: hanno pubblicato, a quattro mani, un paio di “gialli” che hanno avuto successo; qualche altro ne hanno in cantiere, a quattro o a due mani; funzionari del Ministero della Pubblica Istruzione, e perciò interessati alla didattica, hanno studiato l’uso del poliziesco a scuola, e scritto essi stessi un poliziesco “scolastico” per il tema e per la destinazione, nonché un’antologia, Uno studio in giallo. Ora vestono i panni del critico e si cimentano in una Guida alla lettura di Agata Christie: una guida non per ragazzi ma per chiunque, giovane o adulto, senta il bisogno di un aiuto a inoltrarsi nella selva dell’opera della scrittrice e degli scritti su lei.

Affrontare Agata Christie non è facile, e richiede coraggio. Il suo primo romanzo è uscito nel ’20, ma era stato scritto durante la guerra; l’ultimo è uscito postumo nel ’76, qualche mese dopo la sua morte. Quasi sessanta anni di lavoro, e tanti, tanti romanzi, tanti racconti, una ventina di commedie, due libri di versi, un’autobiografia: una mole di scritti tra i quali non è facile muoversi.

Nei sessanta anni della sua attività ci sono state due guerre mondiali; l’Inghilterra, sua patria, ha perso un impero; il mondo è cambiato; due o tre generazioni di scrittori e di mode letterarie si sono succedute. Lo stesso poliziesco ha fatto strada: al “giallo classico”, quello che lei aveva trovato nascendo, si sono affiancati quello psicologico-sociale alla Simenon, quello “duro” alla Hammet e Chandler, quello “problematico” e letterario alla Gadda, alla Durrenmatt, alla Sciascia; i giallisti professionisti, come lei si vantava di essere, si sono confusi con i letterati, o almeno hanno cercato di confondervisi. E lei, imperterrita, ha continuato a scrivere, un romanzo all’anno, qualche volta due, e, almeno in apparenza, non ha cambiato maniera; solo Simenon fra gli scrittori di quel sottogenere, può essere paragonato con lei. Ma non ha cambiato maniera solo in apparenza, perché, in realtà, si è continuamente evoluta, in un saggio equilibrio tra continuità e innovazione; e questa suo innovare prudente rende anch’esso difficile studiarla: si crede di leggere sempre un medesimo libro e invece si legge un’opera in movimento che capta e accoglie, di quanto le succede intorno; solo quello che le è congeniale. Il che spiega poi la sua eccezionale fortuna: una ricezione non solo sempre più vasta, ma duratura; nuovi modelli di “poliziesco” nascono, il genere tutto si evolve, le mode cambiano, ma la gente continua a leggerla, e lei diventa un “classico”.

E poi, a complicare invece che a facilitare le cose, ci si mette la critica. In questi decenni la critica ha scoperto tanti nuovi punti di vista con i quali guardare a un libro, ed è stata una grossa acquisizione; ma non ha saputo esser discreta, e spesso ha letto con tutti quei punti di vista ogni libro: ha cercato in ogni scrittore e in ogni testo le tracce di mitici archetipi collettivi; i suggerimenti dell’inconscio, di uno stesso monotono inconscio; le stesse situazioni; le stesse strutture narrative, e ha preteso di giudicare tutto e tutti con lo stesso metro, quello, per lo più, di sparute avanguardie. E, naturalmente, ha complicato le cose: messa di fronte a una scrittrice come la Christie non ha capito niente, e non ha aiutato a capire: in un processo, intentatole anni fa, un tale pretendeva da lei lo stile degli sperimentalismi! Non dico che la critica sia stata tutta così, ma lo è stata in gran parte, e orientarsi, oggi, non è facile.

Come, in questo bailamme di opere, di apparente staticità e di evoluzione effettiva, di metodi e critici, come se la sono cavata i nostri giallisti anomali, non critici professionisti ma “dilettanti” intelligenti e appassionati? Parrà un paradosso ma non lo è: io direi che se la sono cavata benissimo – e hanno scritto una “guida” utile – tutte le volte – e sono le più – che hanno seguito il loro buon senso di lettori e di autori di “giallo”, mentre lasciano perplessi, almeno me, tutte le volte che si lasciano imporre dalla “critica”, e pigliano troppo sul serio tesi e saggi che non lo meriterebbero.

Il libro è utile, e “guida” a leggere la Christie: ne racconta agilmente la vita, traccia una storia breve ma succosa del poliziesco prima di lei, ne analizza le opere e i personaggi, l’ideologia e la tecnica narrativa; sintetizza le principali tesi critiche, offre una larga e precisa bibliografia. Ed è ricco di osservazioni felici. E, cosa che più conta, è sotteso da una concezione chiara di ciò che è stato storicamente il poliziesco e di ciò che è quello della Christie; una concezione che a me pare corretta. Una concezione, però, che qualche volta, qua e là, è come minata da affermazioni allotrie, che la contraddicono e rischiano così di sviare il lettore. Citerò i casi più clamorosi. Credono davvero i miei amici che i libri della Christie colpevolizzino il lettore (p.77)? O che i suoi personaggi siano, nientemeno, il prodotto dell’intreccio (p.203)? O, infine, che la sua opera insegni il gioco del “mondo alla rovescia”, del mondo che non è come pare? (243). Certo, nel “giallo, le cose non sono quali appaiono, è la legge del “genere”; ma è giusto dirlo col linguaggio con cui lo diciamo a proposito del “nouveau roman” o di Tabucchi? Non rischia di falsare la Christie e questa stessa “guida” ai suoi libri?

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